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Capitale corrotta=Sicilia infetta

Una scia di inchieste giudiziarie. Ma la repressione non basta.
IL COMMENTO
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Basta sollevare un sasso qualunque per trovarci sotto i vermi. La corruzione sembra dilagare a Palermo. E d’improvviso dilaga anche nelle inchieste giudiziarie. Che negli ultimissimi tempi stanno scoperchiando presunti giri di mazzette un po’ dappertutto. L’ultima puntata riguarda i cimiteri, perché parrebbe che a Palermo anche da morti serva un santo in paradiso, a pagamento, per trovare pace. Ma è appunto l’ultima puntata di una serie. Che ha toccato gli uffici dell’edilizia privata, ma anche i rifiuti, con un’inchiesta che riguarda Bellolampo. E poi la Sanità, con l’indagine che ha riguardato l’Asp e le gare della Centrale unica. E si badi, in tutti questi casi non si parla di costruzioni investigative che interpretano magari con qualche forzatura generiche “utilità” come elementi di uno scambio sinallagmatico, in forza di una certa vaghezza normativa in tema di corruzione. Si parla proprio delle vecchie care mazzette. Quelle che in anni recenti si scorgevano più raramente nelle cronache giudiziarie palermitane, monopolizzate dalle vicissitudini di grandi e piccoli presunti mafiosi.

E così, torna alla mente la celeberrima copertina de L’Espresso, che parlando negli anni Cinquanta, scrivendo della speculazione edilizia a Roma titolò “Capitale corrotta=nazione infetta”. E sì, perché la “capitale corrotta” che emergerebbe dalle ultime inchieste, il condizionale è sempre d’obbligo quando i processi sono ancora tutti da svolgere, diventa lo specchio di una Sicilia infetta, scossa negli ultimi anni da una lunghissima teoria di scandali che hanno fotografato piccoli e grandi comitati d’affari imperversare a destra e manca.

Scenari spesso simili, senza isole felici che restano immuni. C’è la pubblica amministrazione, certo, c’è la Regione con gli incroci pericolosi con lobbisti e affaristi degli anni passati (alcuni infarciti di trame da spy story al di là di ogni immaginazione), con inchieste che hanno toccato l’energia, i rifiuti, i trasporti, la sanità, le attività produttive, la formazione e via discorrendo. Ci sono anche pezzi di magistratura finiti nel calderone, con gli inquietanti quadretti del “sistema Siracusa” o con le ormai ben note vicende legate alla gestione dei beni confiscati o ancora con le inchieste sulla giustizia amministrativa. Si tratta per lo più di vicende che sono ancora aperte da un punto di vista processuale, nessuno si sogna di anticipare sentenze e il diritto alla difesa dei singoli così come la presunzione di innocenza sono per chi scrive un baluardo imprescindibile dello stato di diritto e della civiltà. Ma lasciando che le vicende giudiziarie facciano il loro corso, ce n’è quanto basta almeno per avvertire nitido il suono di un campanello d’allarme. E per attrezzarsi con tutti gli sforzi possibili per non limitare il contrasto alla corruzione all’azione repressiva, che interviene quando i buoi son già scappati, ma per potenziare al massimo gli strumenti di prevenzione, come predica l’Anticorruzione. Difficile, certo. Ma non impossibile. Se ci si prende la briga di sollevare quanti più sassi possibile.

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