L'ultimo dei Ferrera 'Cavadduzzu' "Ospitò La Causa durante latitanza" - Live Sicilia

L’ultimo dei Ferrera ‘Cavadduzzu’ “Ospitò La Causa durante latitanza”

Alcuni retroscena emersi dal decreto del Tribunale Misure di Prevenzione.

CATANIA – Ha finito di scontare la condanna da qualche tempo. Francesco Ferrera, l’ultimo della stirpe mafiosa dei “Cavadduzzo”, tra alti e bassi ha avuto diversi ruoli all’interno di Cosa nostra catanese negli ultimi trent’anni. D’Altronde “il cognome” – che ha un peso specifico nella mafia –  è quello dello zio Pippo Ferrera, cugino di Nitto Santapaola e tra i più carismatici boss catanesi degli anni 70 e 80. 

Le sentenze, diventate definitive, raccontano di una militanza di Franco Ferrera (figlio di Natale) tra le file della criminalità organizzata etnea dal 1990 al 2010. Nel processo Fiori Bianchi, i giudici – riconoscendo la continuazione con la sentenza del 1994 per mafia – gli infliggono una pena a 4 anni di reclusione. 

Dal clan de “U cavadduzzu” hanno militato alcuni tra i più importanti (a livello criminale) mafiosi della famiglia catanese di Cosa nostra. Basti pensare a Vito Licciardello, poi ucciso – dicono le sentenze – per volontà di Aurelio Quattroluni pochi giorni dopo l’assassinio di Carmela Minniti, moglie del padrino Nitto Santapaola. O a Santo La Causa, reggente fino al 2009 di Cosa nostra etnea e poi entrato nella schiena dei pentiti di mafia. 

Per il Tribunale Misure di Prevenzione, che al termine del processo di primo grado ha disposto la confisca di alcuni beni, Francesco Ferrera “è un soggetto pericoloso in quanto comprovato appartenente ad associazione mafiosa”. E su queste valutazioni, lo ha sottoposto alla misura della sorveglianza speciale per tre anni. 

Il suo profilo di “pericolosità” si delinea dalle sentenze e dalle indagini dei carabinieri che sono confluite nel procedimento. Inoltre, sono stati analizzati i verbali di un discreto numero di collaboratori di giustizia che hanno descritto le attività criminali di Francesco Ferrera. U Cavaduzzu avrebbe anche “ospitato” La Causa durante la sua latitanza. 

È lo stesso ex capomafia a raccontarlo ai magistrati. Nel 2006, dopo la sua scarcerazione, La Causa e Ferrera (che già si sarebbero conosciuti negli anni 80) si sarebbero incontrati. L’anno dopo, il boss si sarebbe rivolto a “u cavadduzzu” per fiancheggiarlo nella latitanza. E Ferrera avrebbe addirittura “ospitato” La Causa a casa della madre ad Aci Castello per un breve periodo e poi per 10 giorni nella sua abitazione a Lavinaio, a Viagrande. 

Il super pentito, inoltre, racconta che Ferrera avrebbe gestito una serie di estorsioni, anche importanti, come quello di alcuni centri commerciali che avrebbero fruttato alla famiglia mafiosa 7000 euro al mese. 

Per il Tribunale non si sarebbero dubbi sul “ruolo apicale” che sarebbe stato ricoperto da Francesco Ferrera. E fa sue le dichiarazioni dei giudici che lo hanno condannato al termine del processo Fiori Bianchi (inchiesta scattata nel 2013). 

“L’imputato, attesa la vicinanza esistente con la Santo La Causa – scrive la magistratura –  era a conoscenza del luogo ove lo stesso si nascondeva durante la latitanza: già questo solo dato (insito nel fatto che Ferrera si potesse recare dal capo di Cosa Nostra etnea in stato di latitanza) dimostra un inserimento ai massimi livelli nell’associazione”.  

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