Di fronte a un evento straordinario, devastante e complicato come la pandemia da Coronavirus, la più grande emergenza globale dai tempi della Seconda guerra mondiale, le Istituzioni si trovavano davanti a un bivio. Da una parte la strada della collaborazione, del fare squadra e sistema, unire le forze per contrastare con tutti i mezzi e tutte le forze il nemico. Dall’altra c’era l’altra strada, molto italiana, molto battuta, molto deja vu: buttarla in caciara e vai con lo scaricabarile. Ora, al netto delle belle parole, delle dichiarazioni di intenti, dei buoni propositi sciorinati in tv, a vostro giudizio, quale delle due strade è stata imboccata in Italia?
È triste prenderne atto ma la risposta a chi scrive appare alquanto lapalissiana. Il caos istituzionale e i conflitti tra i diversi livelli delle Istituzioni repubblicane sono sotto gli occhi di tutti. Le Regioni contestano lo Stato, lo Stato bacchetta le Regioni, i Comuni accusano Stato e Regioni, tutti contro tutti, come quando si giocava per strada a pallone e imperava il caos fin quando qualcuno di buona volontà non si metteva a dettare qualche regola chiara. E ci si riusciva, purtroppo, assai meglio di come ci sta riuscendo (o meglio non ci sta riuscendo) la classe dirigente di questo Paese.
Da mesi dopo il lockdown primaverile, quando fummo tra i pochissimi al mondo a chiudere le scuole, sentiamo ripetere un mantra: mai più, la aule devono restare aperte, la scuola è il nostro futuro e non può fermarsi. La ministra al ramo, una siciliana neofita della politica, tra qualche scivolone e qualche intoppo si è comunque battuta ostinatamente perché ciò accadesse. Il mondo della scuola, con tutti i suoi atavici ritardi e le sue note disfunzioni, ha fatto i salti mortali per arrivare preparato all’appuntamento con la seconda ondata. E purtroppo altre branche della cosa pubblica non hanno fatto altrettanto.
Alla fine, pur registrando che nelle classi i contagi sono poca roba, che le scuole sono uno dei posti dove in assoluto si riesce a esercitare un controllo sul rispetto delle misure di sicurezza (mascherine, distanziamento, igiene), si è dovuto gettare la spugna per le superiori. Perché nessuno si era preso la briga di riorganizzare il trasporto pubblico evitando che autobus e treni si trasformassero in dispensatori di virus.
È rimasto un ultimo baluardo, la scuola dell’obbligo. Che malgrado tutto si sta cercando di tenere aperta. Per non confinare i bambini nell’isolamento domestico e salvaguardare un barlume di normalità nelle loro vite, che non è solo l’istruzione ma è tanto altro. Ebbene, non si era fatto i conti col meraviglioso caos perfetto che il decentramento dei poteri all’italiana ha generato. Facendo sì che in questo Paese persino su una cosa come la scuola il governo dice bianco, la Regione dice nero e il Comune dice rosso. E alla fine si fa tutti un po’ come cavolo ci pare. Tanto poi la questione finisce davanti alla magistratura, tanto per cambiare, e può capitare, come è successo in Puglia, che un Tar dica una cosa e un altro il suo esatto contrario. Olè.
Tutti contro tutti. Come a Palermo, dove stasera il sindaco ha fatto sapere che da lunedì le scuole dell’obbligo chiudono. Imputando la decisione annunciata a una mancanza di chiarezza nella comunicazione dei dati sugli ospedali da parte della Regione. Una cannonata sparata contro Palazzo d’Orleans scegliendo però la quotidianità dei bambini come campo di battaglia. Ma attenzione, Orlando è in buona, si fa per dire, compagnia, non è certo il primo sindaco siciliano o italiano che decide di chiudere i cancelli delle scuole malgrado il governo nazionale. Già diversi sindaci nell’Isola hanno fatto di testa loro in questo senso (non però motivando il provvedimento con questo genere di argomenti). Si può fare, si è fatto e si farà. Se la sbrighino i genitori, se ci riescono.
La Regione, dal canto suo, ha risposto che i dati vengono comunicati quotidianamente, ammonendo il sindaco sul fatto che non è tempo di “Istituzioni contro Istituzioni”. Pensiero condivisibile. Sarebbe interessante capire quando questo tempo è scaduto, sarà successo a ottobre, visto che ancora ad agosto e settembre il governo regionale sparava le sue di cannonate contro il governo nazionale, ai tempi della famigerata ordinanza-manifesto sui centri per migranti. O forse solo una settimana fa, visto che una decina di giorni addietro ancora il governatore della Sicilia andava in tv a lamentarsi della coloritura arancione dell’Isola, dove da qualche giorno chiudono i reparti negli ospedali per fronteggiare il Covid.
Continuiamo così, facciamoci del male, diceva Nanni Moretti. Ma senza più Fratelli d’Italia che suona al balcone, che proprio non è aria.