Dovevano aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno. È finita che il Palazzo ha aperto loro come una scatoletta. Mostrando impietosamente il contenuto della medesima. Il Movimento 5 Stelle, quello dei puri, del vaffa, della honestà, in questa legislatura è riuscito a omologarsi in quasi tutto alla vituperata “kasta” contro cui da senza peccato ha scagliato pietre per anni. Finendo per sdoganare, con tanto di giustificazioni dei suoi aedi di carta, il mercatino delle vacche per tenere in piedi il governo Conte e l’arruolamento degli Scilipoti 2.0 di turno (e non ce ne voglia Scilipoti che è persona di spirito).
Partiti da Ro-do-tà Ro-do-tà, i grillini sono finiti a tirare a campare grazie ad accordi con le onorevoli Lo Nardo Mastella e Polverini, per acciuffare qualche voto. Una parabola notevole. Meravigliosamente incarnata dall’avvocato Conte, l’allora Carneade che si ritrovò premier del governo più di destra del dopoguerra italiano e che nel giro di una settimana – bastò un discorso in Parlamento – fu promosso da Pd e soci come icona del progressismo e leader naturale di un governo riformista. Senza battere ciglio, all’epoca, i grillini che per bocca del “capo politico” Gigi Di Maio un mesetto prima avevano detto che loro “mai accordi col partito di Bibbiano” (il Pd, per chi non se lo ricorda) strinsero col suddetto partito un patto per governare e mettere nel sacco Salvini che a torso nudo al Papeete s’era fatto il film di prendersi l’Italia.
Il siculo gentiluomo che siede al Quirinale (quello per cui dalle parti dei 5 Stelle un tempo si vaneggiava l’impeachement), dopo le bizze di Renzi, aveva chiesto al presidente del Consiglio di definire chiaramente il perimetro politico della maggioranza. Sarà interessante capire come glielo presenterà Conte quel perimetro, che si compone di senatori a vita che Palazzo Madama lo vedono se va bene una volta all’anno, peones folgorati sulla via di Damasco (o sulla via di ritorno dal bagno, il mistero Ciampolillo resta), ex aiutanti berlusconiane fresche d’apertura di pizzeria e via discorrendo.
Conte forse se la caverà e se dovessimo scommettere un euro lo punteremmo sull’ingresso in maggioranza alla spicciolata nei prossimi quindici giorni di altri peones a cui magari verrà promesso un posto in lista bloccata al prossimo giro. Il film lo abbiamo già visto con altri protagonisti in altre legislature e lo sappiamo a memoria. Fa un po’ impressione però, vedere sul set i duri e puri che ieri si stracciavano le vesti, in Parlamento e su certi giornali, per il De Gregorio-gate. Così come potrebbe fare un po’ arricciare il naso a qualsiasi persona di discreta memoria l’autoinvestitura di federatore dell’antisovranismo da parte del presidente del Consiglio che spiegava al mondo cos’è il populismo quello buono, che ammiccava a Donald Trump e che firmava non uno ma due decreti sicurezza con tanto di foto ricordo con cartello accanto a quell’antisovranista europeista e liberale di Salvini.
Il Movimento 5 Stelle nel passaggio dalla protesta alla realtà delle autoblù e dei posti negli uffici di gabinetto ha dovuto progressivamente cambiar pelle, rinunciando uno a uno a una lunga serie di vezzi e totem che avrebbero dovuto caratterizzarlo come “diverso” e immergendosi nella realpolitik. Fino allo spettacolo di Palazzo Madama, pietra tombale della favola pentastellata come narrazione di un’alternativa di duri e puri a un Palazzo di squali. Chissà come lo avrebbero commentato i grillini dei primi tempi quello spettacolo.
Resta un ultimo spauracchio all’orizzonte: il nascituro partito dell’ambizioso (e politicamente abile, sia chiaro) Conte, che sfilerà ulteriormente, e inevitabilmente, consensi del Movimento. Di cui rischia di restare solo la scatoletta.