"Dottore, mi tenga la mano": il Covid e quelle giornate di paura

“Dottore, mi tenga la mano”: il Covid e quelle giornate di paura

Il bollettino contiene numeri. Ma nei reparti Covid ci sono persone che lottano. Ecco le loro storie.

PALERMO“Le persone hanno paura. Se ne vanno con la paura. Viviamo, da tanto, immersi in un contesto pesantissimo”. Il dottore P.B. è un giovane medico che lavora all’ospedale ‘Cervello’ di Palermo, nell’Unità di terapia intensiva respiratoria, la squadra del dottor Giuseppe Arcoleo. E’ una squadra vincente perché salva tante vite prese in pieno dal Covid. Alcune deve lasciarle andare. La voce narrante ha chiesto la discrezione delle inziali, per riferire, nel rispetto della privacy e dell’intimità delle cose più grandi di noi, un frammento di ciò che succede nelle corsie di un reparto Covid. E lo ringraziamo per la disponibilità che conferma la sua preziosa formazione di medico: quando si è parte di un universo, se ne condividono tutti gli istanti.

In quel mondo separato dal resto, in cui i colori, le zone, le chiacchiere e i giudizi non contano più, si creano rapporti fortissimi. Si cercano, disperatamente, legami umani. Niente ha un senso, ecco perché, a tutti i costi, un senso bisogna trovarlo. Qui ci sono i sofferenti, con nomi, cognomi, parenti, amici e biografie. Così distanti, in carne e ossa, dall’anonimato dei numeri.

“Dottore, mi prenda la mano…”

“L’altra notte – racconta il medico – un signore mi ha chiesto di stare un po’ con lui, di prendergli la mano: ‘Dottore, non mi lasci solo, si distenda un po’ accanto a me’. Gli ho preso la mano, mi sono messo accanto a lui e ho cercato di confortarlo. Due giorni dopo, purtroppo, è morto”. La voce narrante trema sotto il peso della sua stessa narrazione. La cronaca tragica e asciutta che propone squarcia un velo, ci mostra la nudità del momento che stiamo attraversando, con il suo carico di esperienze terribili e nuove. Si muore da quando si nasce, certo. Ma il Covid uccide nella solitudine che può diventare rimozione nelle consuetudini di chi sta fuori e scorre con abitudine, ormai, il bollettino quotidiano delle vittime.

Il racconto prosegue e si smorza: “Scontiamo la pesantezza di chi vede morire persone ogni giorno. Persone che ti chiedono aiuto, che ti implorano di essere salvate, a cui ti affezioni, prima che vadano via. Persone che muoiono con addosso la paura di morire. Con don Alessandro Sacco, il cappellano, cerchiamo di dare sollievo spirituale, non soltanto materiale. Cerchiamo l’umanità. Ma è tremendamente difficile”.

“Com’è il dolore del Covid”

Don Alessandro (nella foto) è il giovane sacerdote che assiste le anime e i corpi dell’ospedale ‘Cervello’. Lui stesso si è contagiato, ma in parrocchia, non in reparto: “Il Coronavirus mi ha preso di striscio, me la sono cavata con l’isolamento. Ho scelto di stare con i malati, il mio posto è qui. La caratteristica del dolore che porta il Covid è la paura – spiega don Alessandro -. La gente ha il terrore di morire, perché sa che cos’è la pandemia e pensa che il virus sia uguale alla fine. Non è semplice vedere chiudere gli occhi al proprio vicino di letto. A me è capitato di dare l’estrema unzione a un malato e lì di fianco era morto qualcuno da poco. Si tratta di una vicenda che ci conduce oltre il limite delle cose che pensavamo di sapere”.

“L’altro aspetto atroce – dice don Alessandro – è la solitudine. Tutti ne soffrono. Anche i parenti si sentono soli, come separati dalla loro esistenza precedente. Nessuno, ovviamente, può entrare. Se sei con l’ossigeno, non puoi nemmeno effettuare la video-chiamata. Allora, spesso, mi presto come ponte per lo scambio di messaggi, per cercare di lenire il sentimento dell’abbandono. Sì, l’umanità è essenziale”.

I numeri e le storie

Ogni giorno il bollettino offre la dimensione statistica della pandemia e le vittime sono sempre numerose. Dietro ci sono, appunto, le persone. Ieri ci sono stati quindici morti per Covid in Sicilia. Nessuno di loro era un numero, a dispetto dell’assuefazione che rende distante, per molti motivi, disagio compreso, la prospettiva di una tragedia. Ma la statistica non è mai utile per misurare le cose più grandi di noi.


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