Etna, incendi e vessazioni: l'ombra della mafia sui pascoli

Etna, incendi e vessazioni: l’ombra della mafia sui pascoli

"Imprenditori disperati e investitori scoraggiati". La lucida analisi di Nicola Grassi, presidente dell'Asaec.

RANDAZZO – La mafia dei pascoli non è solo una piaga criminale radicata nelle suggestive vette e valli dei Nebrodi. Ma purtroppo è un fenomeno illecito che sta schiacciando anche agricoltori, viticoltori e imprenditori dell’area Nord dell’Etna. Le terre di Randazzo sono sempre più bersaglio di criminali che senza scrupoli utilizzano il vile mezzo dell’intimidazione per potersi accaparrare terreni poi da destinare al pascolo.

Le conseguenze? Una desertificazione a livello economico. Resistono solo coraggiosi – o temerari dipende dai punti di vista – imprenditori che non si piegano a danneggiamenti, furti e incendi e continuano a denunciare. Ma nonostante le denunce e i fari accesi della stampa – anche internazionale – nulla (o quasi) è cambiato. Solo pochi giorni fa l’ennesimo atto predatorio. E l’ennesimo appello del sindaco Francesco Sgroi attraverso i media locali. 

Allarme che è stato raccolto anche dall’Associazione Antiestorsione di Catania che ha deciso di scrivere una lettera al prefetto di Catania Maria Carmela Librizzi, “affinchè possa sensibilizzare a tutti i livelli, interventi ed strumenti che scongiurino il completo declino di un’area dalle straordinarie potenzialità turistiche ed imprenditoriali”. 

Non è la prima volta che l’Asaec porta sul tavolo delle Istituzioni la piaga della mafia rurale. “Da anni raccogliamo la disperazione e la rassegnazione dei proprietari terrieri che abbiamo trasferito in pubbliche denunce, in audizione in commissione antimafia all’Ars ed in un esposto dettagliato presentato alla procura della Repubblica di Catania nell’agosto del 2018”.

Il presidente Nicola Grassi ha firmato una missiva dove chiede un’azione sinergica per debellare un fenomeno criminale che comprime “la libera fruizione dei luoghi” e condiziona “le scelte dei legittimi proprietari,  inducendoli a rinunciare alle iniziative di sviluppo economico imprenditoriale in ambito rurale, turistico e persino di semplice fruizione privata di appezzamenti di terreno, case rurali e di villeggiatura”. 

“La tecnica sembrerebbe essere quella della pressione intimidatrice esercitata da allevatori che con i loro comportamenti – spiega ancora Grassi – scoraggiano investitori a portare avanti le loro iniziative, attraverso azioni di danneggiamento di beni immobili e mobili, di pascolo abusivo nelle colture esistenti di animali, censiti e non, non solo nei terreni in uso agli stessi allevatori ma anche in quelli demaniali”.

“I fatti che sembrano emergere – denuncia il presidente dell’Asaec – vanno ben oltre l’integrare semplici e comunque pur sempre odiosi episodi di pascolo abusivo, assumendo i contorni di rilevanti e violente azioni illecite finalizzate a comprimere la libertà delle vittime di disporre dei loro beni. Se poi considerati nel loro complesso, appaiono tradursi in un inammissibile controllo del territorio da parte di soggetti collegati a cosche criminali operanti sul territorio che coltivano i loro interessi con illecite vessazioni.”

Un sistema criminale che sta allontanando investimenti da una terra invece che potrebbe portare ricchezza per tutto il territorio. “Un clima di costante prevaricazione e prepotenza, tale da comportare un’insopportabile compressione delle libere dinamiche di mercato – analizza Grassi – limitando o escludendo del tutto, le scelte e le aspirazioni imprenditoriali che, sempre più spesso, provengono da fasce giovani della società per il ritrovato interesse nell’agricoltura.”

Serve un’azione incisiva da parte delle Istituzioni, non solo repressiva ma anche preventiva. Il sistema di controllo messo a punto fino ad oggi, con i passi da gigante portati dal protocollo Antoci con l’obbligo della certificazione antimafia, non appare ancora sufficiente a vincere la battaglia.  Come scrive il gip di Messina, nell’ordinanza Nebrodi, i clan “hanno dimostrato la capacità di aggirarlo con raffinatezza e sapienza”. Non basta però delegare tutto alla magistratura e agli investigatori. Serve uno sforzo comune. Che non può più attendere.

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