Oggi, come ieri, se vai al cimitero di Santa Maria dei Rotoli di Palermo, la puzza di decomposizione non ti lascia più. La avverti una prima volta, sotto il tendone bianco che copre le bare insepolte che, almeno, sono state alzate da terra e sistemate su strutture in metallo: un lieve ma significativo miglioramento. Poi, scappi via, cammini per i viali del cimitero, fra le tombe definitive di quelli che sono morti quando ancora era possibile morire con dignità. E l’odore penetrante dei corpi è ancora con te. Perfino mentre sei in macchina e togli la mascherina, la puzza – con il massimo rispetto, non c’è un altro modo altrettanto efficace di dirlo – non ti abbandona. La porti a casa, con la polvere della strada, con gli occhi inumiditi per la rabbia, con il cuore pesante per lo scempio. E le parole non bastano più, da tempo, anche se sono necessarie.
Il giorno dopo i morti
Il giorno dopo i morti, ai Rotoli, c’è il clima di quieta disperazione che è normale per un cimitero. Gli arrivi non mancano, per quel brutto vizio di continuare a morire. Ci sono lacrime fresche che si poggiano su lacrime stratificate. Nel deposito accanto all’ingresso, una donna piange, consolata dai parenti in raccoglimento. L’ombra stantia del chiuso campeggia sui feretri, alcuni in zinco, senza il rivestimento. Alle narici sale un miscuglio di olezzi aspri, tra fiori vecchi e nuovi. I sussurri del cordoglio sono interrotti dalle voci degli operai, impegnati sul campo. C’è fermento, ci sono lavori. Sotto i tendoni, ci sono persone che aspettano una sepoltura anche da più di un anno. Guardi le foto segnaletiche che sono state appiccicate, perché altrimenti rischi di omaggiare con un crisantemo uno che neanche conoscevi. E sarebbe un atto di pietà, ma qui si viene, soprattutto, per i propri defunti. Guardi quelle foto e trovi le espressioni perplesse, se non infastidite. Come dire: ancora qui sono? Ma è un’illusione consueta al camposanto, dove le emozioni, le parole e i sentimenti che si attribuiscono ai defunti riguardano i viventi.
Le parole dell’arcivescovo: “Inumano”
Nel giorno dei morti, l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, ha tuonato con parole definitive: “In questi mesi e anche ora, in tutto il mondo, tanti, tutti stiamo vivendo la tragedia di una morte solitaria, di una distanza terribile dal corpo caro che muore, e qui a Palermo addirittura anche di una mancata e degna sepoltura di tanti nostri cari concittadini, parenti e amici. Non possiamo stare zitti. Questo è inumano. È impensabile che in una convivenza umana possa accadere che i corpi siano violati, in vita e in morte. Mai. Ogni disprezzo dei corpi destruttura, abbrutisce e lacera la città umana Nessuno può violentare i corpi, nessuno li può sfruttare per brama o per fini di lucro, a maggior ragione in un cimitero, luogo sacro per Arcidiocesi di Palermo eccellenza, di memoria, di riposo e di attesa di vita eterna, di desiderio di comunione senza fine”. “L’amministrazione comunale sta facendo di tutto per cercare di affrontare e risolvere questo problema di cui mi vergogno”, ecco il controcanto del sindaco Orlando.
Ottocento bare
Sono circa ottocento e trenta le bare che ancora devono essere tolte dai depositi e avviate a una degna sepoltura. “Abbiamo sollevato le bare da terra ed è un passo importantissimo”, dice l’assessore Toni Sala. Nel frattempo, defunti e viventi si incontrano ancora nel cimitero di Santa Maria dei Rotoli, davanti al mare che ha già preso i colori dell’autunno. Ma l’odore del mare non lo senti, quando attraversi l’ingresso, sulla strada del ritorno. La puzza e la tristezza non vanno più via.