PALERMO – La violenza sulle donne è una barbarie che si perpetua da secoli e la parola fine al momento è molto lontana. Bruciate vive nel Medio Evo perché accusate di stregoneria, stuprate da padri, fratelli e parenti vari, picchiate a sangue, vendute come prostitute, ancora oggi le storie raccontate dalla cronaca sono sempre troppo simili, parlano di dolore, paura, solitudine e morte. Il 25 novembre si celebra nel mondo la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999. Da quel momento ogni anno, in quella data, si accendono i riflettori su un fenomeno che non conosce crisi o flessioni, anzi è un trend in aumento a tutte le latitudini.
Manifestazioni in piazza, conferenze, seminari, girotondi, premi, scarpe-panchine-sciarpe rosse, per gridare ‘Basta’. ‘Basta’ a questa carneficina, ‘Basta’ a una cultura e a una mentalità troglodita che porta 4 uomini su 10 a pensare che gli schiaffi non siano violenza, che le bastonate siano solo dinamiche passionali di coppia. Passionali? Ma di cosa parliamo quando parliamo di violenza sulle donne? Ci riferiamo a Franca Rame, stuprata da 4 uomini per ragioni politiche, a tutti quei casi in cui le fidanzate vengono strangolate a mani nude, le mogli ammazzate a coltellate, a martellate, ma pure date a fuoco. Le spose-bambine costrette a contrarre matrimoni precoci, le donne decapitate o lapidate, si proprio così, anche a casa nostra, decapitate e lapidate, che ricordano i casi del più oscuro Afghanistan; le nipoti vendute dalle nonne, la tratta delle donne che non conosce confini.
Quando parliamo di violenza ci riferiamo a un universo maschile di odio che presenta molte varianti: aggressività, perversione, senso di impotenza, incapacità ad affrontare e gestire le separazioni, impreparazione sentimentale. Un universo bestiale che ha un unico filo rosso: le donne vittime. A parlare non è certo il rancore, il femminismo o le ideologie, ma sono i dati, i numeri della lucidità (quella maschile) e non dell’emotività (quella femminile degli stereotipi).
E i numeri ci dicono che a morire di femminicidio (cioè, persone ammazzate in quanto donne) in Italia, nel 2021 (che non è ancora finito), sono state 103 donne; su 10 omicidi 4 sono di genere. In Sicilia negli ultimi 12 mesi i femminicidi sono aumentati del 3 per cento, molte delle vittime avevano denunciato, altre soffrivano in silenzio sperando magari in un miracolo o al massimo di un bel mazzo di mimose per la Festa della donna. Esistono dunque uomini che si arrogano il diritto di decidere della vita altrui, che “amano” così tanto le partner da non poter vivere senza di loro, e che preferiscono sopprimere l’amato bene. Sì, bene, nel senso di una cosa di proprietà. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha recentemente ribadito che “la tutela delle donne è una priorità assoluta per il governo”, molto bene. Peccato che la dichiarazione strida molto, troppo, con la foto girata due giorni fa su tutti i social che lascia senza parole, in cui si vede la ministra delle Pari opportunità, Elena Bonetti, parlare alla Camera nel giorno in cui si discute la mozione contro la violenza sulle donne, davanti a solo 8 deputati (su 630). Ma le altre deputate, almeno quelle, dove erano? Spero non dal parrucchiere a farsi le piega per il grande giorno delle celebrazioni.
La ministra per il Sud, Mara Carfagna ha annunciato la creazione di centri antiviolenza, case rifugio e asili nido negli immobili requisiti alla mafia grazie ai fondi del Pnnr, “un atto pratico –ha spiegato – ma anche un gesto simbolico per la lotta alla violenza è giusto usare strutture ed edifici strappati a chi ha vissuto nella violenza”. Il 25 novembre è il giorno della lotta per la libertà dalle aggressioni, dai desideri morbosi, dall’inferno casalingo, dagli abusi psicologici. Per questa battaglia della vita abbiamo bisogno di tutti, uomini e donne di buona volontà che insieme e subito cambino questa orrenda realtà.