di Andrea Doi (Ansa)
TORINO – “Mi sono innamorato, ma siamo lontani, mandami una tua foto”. Dietro a questa richiesta via chat, all’apparenza ingenua, si nascondeva in realtà una pericolosa trappola, che ha trasformato una relazione social in un incubo per una tredicenne dell’area metropolitana di Torino. La giovane è diventata infatti la vittima di un ragazzo, poco più grande di lei ma sempre minorenne che, prima con l’inganno e poi con le minacce, si è fatto inviare foto e video dal contenuto esplicito.
Solo il coraggio del padre, e le indagini della polizia, sono riusciti a dare un nome e un volto a chi si proteggeva dietro un falso account e a denunciare il giovane per estorsione e per produzione e cessione di materiale pedopornografico. Nel telefonino, sequestrato dagli investigatori durante la perquisizione della sua abitazione fuori Piemonte, c’erano oltre 300 file ‘pedopornografici’ ora al vaglio degli inquirenti. Un’inchiesta non facile, partita lo scorso inverno, e non ancora finita, spiegano gli inquirenti, convinti che “ci sia anche dell’altro”.
È febbraio quando Simona, il nome è di fantasia, conosce su Instagram, la celebre applicazione dove gli utenti pubblicano foto e ‘storie’ e dove è anche possibile chattare in privato, un ragazzo che dice di avere la sua stessa età. L’amicizia virtuale si trasforma in breve tempo in qualcosa di più per la ragazza. Chi sta dall’altra parte della tastiera ci sa fare con le parole: racconta delle sue giornate, della scuola, del rapporto con amici e genitori a Simona, che inizia a fidarsi di quello sconosciuto dai modi educati e gentili. Lui le scrive di essersi innamorato, ma c’è quella maledetta distanza tra di loro. Così le chiede delle foto.
All’inizio innocenti, semplici selfie. Poi va oltre, le chiede scatti e video particolari. La tredicenne invia, ma presto il gioco diventa ricatto. Simona vuole tirarsi indietro e il ragazzo diventa un’altra persona; non è più dolce e gentile, ma fa paura. “Ancora un altro video o mando tutto ai tuoi contatti”. è la minaccia. La tredicenne si spaventa e continua ad inviare il materiale richiesto, fino a quando il padre non si accorge di tutto, insospettito dal fatto che la figlia è sempre più preoccupata quando ha in mano il cellulare. L’uomo intercetta e legge alcune chat tra Simona e il ricattatore, capisce cosa sta accadendo e decide di intervenire.
Scrive direttamente al ragazzo e gli chiede di smetterla e di cancellare le immagini della figlia. Il giovane non crede al fatto che ci sia davvero il padre della ragazzina dietro a quei messaggi e non solo non sparisce, cancellando l’account e tutto il materiale, ma continua nel ricatto. Al papà di Simona non resta che andare alla polizia. Dall’inchiesta è emerso come il ragazzo avesse progettato tutto fin dall’inizio, quando si era presentato con un falso nome, creando una rete fatta di account fake e di indirizzi IP ben nascosti. Un modus operandi che per gli investigatori potrebbe essere stato usato altre volte. Potrebbero esserci quindi altre vittime dell’adescatore, che verosimilmente otteneva le immagini pedopornografiche per poi distribuirle, mettendole sul mercato del dark web.