L’articolo 84 della Costituzione dice che “l’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica”. Perciò se l’eletto in quel momento ricopre un altro ruolo deve prima dimettersi e, solo dopo, insediarsi al Quirinale. È accaduto, ad esempio, con Francesco Cossiga, presidente del Senato; Giovanni Gronchi e Oscar Luigi Scalfaro, presidenti della Camera; Sergio Mattarella, giudice costituzionale; Luigi Einaudi, governatore della Banca d’Italia, vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio; Antonio Segni e Giuseppe Saragat, ministri degli Esteri; Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell’Economia.
Mai, però, è accaduto che il presidente del Consiglio in carica venga eletto Capo dello Stato. Se dovesse accadere si aprirebbe una procedura del tutto inedita e, sicuramente, abbastanza complessa.
L’unico riferimento normativo esistente da cui si possa partire è l’articolo 8 della legge 400/1988, che disciplina l’attività del Governo e l’ordinamento della presidenza del Consiglio. “In caso di assenza o impedimento temporaneo del presidente del Consiglio, la supplenza – si legge nella disposizione – spetta al vicepresidente o, qualora siano nominati più vicepresidenti, al vicepresidente più anziano secondo l’età. Quando non sia stato nominato il vicepresidente del Consiglio dei ministri, la supplenza spetta, in assenza di diversa disposizione da parte del presidente del Consiglio, al ministro più anziano secondo l’età”.
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Finora nella storia repubblicana è accaduto che vicepresidenti del Consiglio o ministri anziani siano stati chiamati a presiedere il Consiglio dei ministri, ma non si ricordano casi di assenza o impedimento di un premier tali da richiedere sostituzioni prolungate nel tempo.
Quindi, vista l’incompatibilità prevista dall’articolo 84, in caso di elezione di Mario Draghi a presidente della Repubblica, il premier dovrebbe presentare le dimissioni a Mattarella, senza tuttavia che possa essere seguita, come avviene in caso di crisi di governo, la normale procedura con presa d’atto e invito a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti e accettazione delle dimissioni contestualmente alla nomina del nuovo presidente del Consiglio.
Perciò, secondo il parere di autorevoli giuristi, con la comunicazione delle dimissioni del premier al Consiglio dei ministri, assumerebbe la supplenza il ministro anziano, Renato Brunetta, a meno che nel frattempo non venga nominato un vicepresidente del Consiglio, che attualmente non c’è, o Draghi disponga diversamente. Una volta insediato al Quirinale l’ormai ex premier, il ministro che ha assunto la guida del Governo presenterebbe le sue dimissioni al nuovo Presidente della Repubblica.
A quel punto però si aprirebbe un altro inedito nella prassi che prevede che il presidente del Consiglio presenti le dimissioni per cortesia al nuovo Capo dello Stato e che questi le respinga. In questo caso infatti le dimissioni verrebbero accettate e dovrebbe aprirsi una formale crisi di governo per arrivare alla nomina di un nuovo premier. Una serie di passaggi formali che tuttavia potrebbero essere in qualche modo scanditi e definiti da un’intesa tra quelle stesse forze politiche che dovessero accordarsi sull’elezione di Draghi al Quirinale.