PALERMO – La pensionata fa causa alla banca, vince e il suo conto corrente passa da un saldo in rosso – meno 569 euro – a un attivo di 81.437 euro. Lo ha deciso il giudice onorario togato Filippo Barba del tribunale di Sciacca che ha dato ragione a una donna di 70 anni.
La correntista della Banca Popolare di Milano, una esercente oggi in pensione, si era rivolta all’autorità giudiziaria, affidandosi agli avvocati Mauro Tirnetta e Roberta Lo Iacono, per denunciare l’applicazione, da parte dell’istituto di credito, “di interessi passivi ultralegali oltre all’illegittima commissione di massimo scoperto”, calcolando tassi trimestrali ben oltre la soglia antiusura, in qualche caso più del 20%.
Il ricorso riguardava anche il mutuo, ma in questo caso il giudice ha verificato la regolarità delle procedure. Decisiva è stata la ricostruzione, carte alla mano, dei movimenti bancari. Recenti sentenze, infatti, hanno stabilito che “il correntista, il quale agisca in giudizio, ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute”.
La pensionata ha richiesto i documenti alla banca, che li ha esibiti solo in parte. Quindi i suoi legali hanno chiesto, come procedura vuole, che il giudice istruttore ordinasse alla banca di produrre tutta la documentazione in giudizio. Lo stesso giudice ha nominato un consulente che ha ricostruito i passaggi in cui gli interessi hanno sforato la soglia consentita dalla legge.
In particolare gli sforamenti riguardavano la Commissione di massimo scoperto e il Teg, l’indice che considera tutti gli oneri finanziari, commissioni e spese di un contratto di finanziamento.
La banca aveva eccepito la prescrizione delle richieste della donna. La Cassazione, però, e il giudice Barba lo menziona, ha stabilito che “l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, che decorre, nell’ipotesi i cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta d’interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”.
Ed ancora: “Tutte le volte in cui i versamenti in conto non superino il passivo ed in particolare il limite dell’affidamento concesso al cliente si tratterà di atti ripristinatori della provvista, della quale il correntista può ancora continuare a godere, e non di pagamenti. In questi casi il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme
trattenute dalla banca indebitamente, a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente, decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, tenuto in considerazione la vera natura dei versamenti eseguiti in
conto che non hanno superato il passivo emergente dall’esame contabile e, in ogni caso, non hanno superato il limite dell’affidamento concesso”.
Tutto questo si è concretizzato negli 81 mila euro che la banca deve dare alla pensionato. Si tratta ancora di una sentenza di primo grado, dunque non definitiva.