AGRIGENTO – Sono dieci le richieste di condanna avanzate dalla Procura Generale nell’ambito del processo di Appello scaturito dall’operazione Halycon – eseguita nell’estate 2019 dai carabinieri del Ros – che ha fatto luce sugli intrecci pericolosi tra la famiglia mafiosa di Licata con politica, imprenditoria e massoneria. L’accusa, sostenuta in aula dal procuratore generale Maria Teresa Maligno, ha chiesto la parziale conferma della sentenza di primo grado chiedendo inoltre di condannare anche due dei tre imputati che erano stati precedentemente assolti: si tratta di Vito Lauria, 51enne tecnico informatico, massone, figlio del boss (alias “u prufissuri”) Giovanni, e Angelo Graci, 33 anni, ritenuto un gregario del clan che avrebbe avuto spesso il compito di presidiare i luoghi dei summit. Per entrambi la richiesta di condanna è 10 anni e otto mesi di reclusione.
A queste se ne aggiungono altre otto che erano state già disposte nel processo di primo grado: 20 anni ad Angelo Occhipinti, 67 anni, già condannato per mafia ed estorsione, ritenuto il nuovo capo della famiglia di Licata; dodici anni a Raimondo Semprevivo, 49 anni, ritenuto il braccio destro del boss. Quest’ultimo è accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di un episodio di tentata estorsione in concorso con lo stesso Occhipinti; dodici anni anche a Giovanni Mugnos, bracciante agricolo, 55 anni, ritenuto “l’alter ego” di Giovanni Lauria, altro esponente di spicco di Cosa nostra di Licata, imputato nel processo ordinario; dieci anni e otto mesi a Giuseppe Puleri, 42 anni, imprenditore, ritenuto membro della famiglia mafiosa di Campobello di Licata; dieci anni e otto mesi al farmacista Angelo Lauria, 47 anni.
Stessa pena a Lucio Lutri, 62 anni, funzionario della Regione Sicilia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lutri, in particolare, “grazie alle rete relazionale a sua disposizione quale Maestro venerabile della loggia massonica “Pensiero ed Azione” di Palermo, avrebbe “acquisito e veicolato agli appartenenti alla famiglia mafiosa informazioni riservate circa l’esistenza di attività di indagine a loro carico” e sarebbe intervenuto per favori di altra natura.
Dieci anni e otto mesi a Giacomo Casa, 66 anni, pastore, ritenuto uno dei membri del clan licatese. Due anni e quattro mesi per l’elettrauto Marco Massaro, 37 anni, accusato di favoreggiamento aggravato per avere rivelato a Mugnos dell’esistenza di microspie all’interno della sua auto. E’ uscito fuori dal processo Giuseppe Galanti, 63 anni, difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Chiara Proietto, assolto in primo grado dall’accusa di essere stato il cassiere della famiglia mafiosa. I giudici della terza sezione penale della Corte di Appello, presieduta da Antonio Napoli, hanno fissato cinque udienze – a partire dal 4 aprile – durante le quali si svolgeranno le arringhe degli avvocati della difesa.
Il 9 giugno, invece, è attesa la sentenza. Altre nove persone, invece, sono imputate nello stralcio ordinario del processo che è attualmente in corso davanti i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Agrigento: si tratta di Giovanni “il professore” Lauria, 80 anni, ritenuto elemento apicale del clan licatese; Angelo Bellavia, 66 anni; Antonino Cusumano, 44 anni; Antonino Massaro, 62 anni; Marco Massaro, 36 anni; Alberto Riccobene, 48 anni; Salvatore Patriarca, 42 anni; Gabriele Spiteri, 47 anni, e Vincenzo Spiteri, 53 anni. Nell’inchiesta è rimasto coinvolto anche l’ex consigliere comunale di Licata, Giuseppe Scozzari, la cui posizione era stata stralciata. Lo scorso dicembre il Tribunale di Palermo lo ha condannato a cinque anni di reclusione.