PALERMO – Il clan dell’Acquasanta aveva trasferito una parte dei propri interessi lontano dalla Sicilia. In particolare in Friuli. L’obiettivo di dare meno nell’occhio strideva con le manie di grandezza del costruttore Vincenzo Graziano che se ne andava in giro in Ferrari e amava viaggiare a bordo di barche di lusso.
Il suo patrimonio è andato in confisca in virtù di una sentenza del tribunale per le Misure di prevenzione di Palermo resa definitiva dalla Cassazione.
Nonostante due condanne per mafia già scontate Graziano finì di nuovo in carcere nel blitz Apocalisse del 2014. Il suo nome è legato a uno dei principali misteri della recente Cosa Nostra. Graziano avrebbe fatto parte della schiera dei boss che volevano ammazzare il magistrato Antonino Di Matteo, oggi al Csm.
L’attentato a Di Matteo
L’inchiesta sull’attentato fu archiviata dai giudici di Caltanissetta. “Deve ritenersi provata l’esistenza di un progetto criminoso teso all’eliminazione del dottor Di Matteo”, scriveva la Procura nissena. Un progetto che “non ha oggettivamente superato la soglia della fase preparatoria”. Dunque nessuno finì a processo.
Graziano, una volta finita di scontare la pena, nel 2012 era tornato nel giro con l’obiettivo di fare soldi. Lui che, appartenente ad una famiglia di costruttori, di soldi se ne intendeva. Le nuove indagini, quelle sfociate nell’ultimo arresto, lo piazzavano al vertice del mandamento di Resuttana.
Le dichiarazioni dei pentiti
Su di lui convergevano le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Sergio Flamia di Bagheria e Vito Galatolo dell’Acquasanta. Il primo disse che Graziano aveva investito i soldi dei Madonia, il secondo lo tirò in ballo nella vicenda del progetto di morte contro il pubblico ministero Di Matteo. Parlò di incontri, avvenuti nel 2012 con Alessandro D’Ambrogio (capomafia di Porta Nuova) e Girolamo Biondino (capo a San Lorenzo) nel corso dei quali fu letta una missiva Matteo Messina Denaro. Da Castelvetrano sarebbe arrivato l’ordine di organizzare l’attentato.
Al di là di questo oscuro capitolo investigativo sul conto di Graziano furono raccolte le prove di un suo ritorno al potere. La sua scarcerazione era attesa. I suoi parenti si prepararono anche economicamente. Le microspie intercettarono i loro dialoghi mentre spiegavano che a Graziano bisognava far trovare duecentoquaranta mila euro. Sessanta mila per ogni anno di detenzione. Quasi come fosse un contratto da rispettare.
Tesoretto di famiglia
La confisca colpisce il tesoretto di famiglia. Ci sono gli immobili di Vincenzo Graziano in via Pietro Scaglione, ma anche i beni dei parenti. Alla moglie, Giuseppa Famoso, erano intestati alcuni conti correnti, ai figli Camillo, Angelo, Francesco e Loredana società in Friuli, immobili a Palermo in via Ammiraglio Rizzo, via Resuttana Colli, cortile Giarra, via Ruggero Marturano.
Mafia e lusso: un binomio che ha sempre identificato la famiglia Graziano. La conferma arriva dalla confisca oggi divenuta definitiva che riguarda anche due imbarcazioni. Si tratta di un 9 metri con bimotore Mercure e uno yacht Primatist G 13 metri con motori Volvo che da solo costava oltre 320 mila euro.