E adesso l’Mpa, partito fondato e guidato da un presidente della Regione rinviato a giudizio per concorso esterno in mafia, invoca “un codice etico nella politica” e chiede di far risorgere la norma “blocca indagati”. Per sancire un principio quantomeno “contraddittorio”: un rinviato a giudizio per peculato non può fare il consulente dell’ultima società partecipata della Regione, ma un indagato prima e un rinviato a giudizio poi per associazione mafiosa può ricoprire anche il ruolo di governatore.
Paradossi, dicevamo, che investono la discussione su una norma proposta dal parlamentare del Pd Lillo Speziale come emendamento alla cosiddetta “blocca nomine” affossata dall’Assemblea regionale grazie al voto segreto. Un voto chiesto dal Pid, oltre che dai deputati Fabio Mancuso del Pdl e Riccardo Minardo dell’Mpa. Due parlamentari, gli ultimi due, sottoposti a custodia cautelare, nei mesi scorsi, per reati legati al patrimonio. “Ma dal 2000 a oggi – puntualizza Mancuso – io sono stato rinviato a giudizio cinque volte, e indagato una quarantina. Ma sempre assolto perché il fatto non sussiste”. Anzi, il deputato catanese rilancia: “Abbiamo chiesto il voto segreto – ha rivelato – perché ci sono arrivate anche le richieste di alcuni deputati del Pd, che non volevano sottostare alla linea del partito”.
Linea rappresentata, nell’occasione, dal presidente della Commissione antimafia Lillo Speziale, oltre che dal capogruppo Antonello Cracolici e dal segretario regionale Giuseppe Lupo. “Quella di Speziale – affonda Mancuso – era una legge-manifesto buona solo perché si avvicina la campagna elettorale. Il divieto di conferire incarichi a condannati per mafia è già previsto dalla legge. Non c’era bisogno del suo emendamento. Semmai, il presidente Speziale sarà querelato dal sottoscritto per avermi definito un imputato”.
Ma il contrattacco di Mancuso non si limita al partito democratico. Già durante la seduta d’Aula, in effetti, il deputato azzurro aveva puntato l’indice non solo contro il primo firmatario della legge, ma anche contro l’Udc che quella norma aveva deciso di sostenere. “In quell’emendamento – spiega Mancuso – il divieto per gli incarichi non era previsto solo per alcuni reati. E alcuni, come il peculato ad esempio, mi sembrano abbastanza gravi visto che si sta parlando di pubblica amministrazione. Il caso vuole, ovviamente – aggiunge – che un consulente del sindaco di Marsala e capogruppo dell’Udc Giulia Adamo sia indagato proprio per peculato”.
Ma quella norma potrebbe tornare comunque all’Ars. In una versione riveduta e corretta, magari. Questa è la proposta dell’Mpa: “L’emendamento Speziale – ha detto infatti il capogruppo Nicola D’Agostino – avrebbe potuto un po’ nobilitare questo disegno di legge. Noi crediamo – ha aggiunto – che quell’emendamento abbia in sè le ragioni profonde che permettono di avere maggiori garanzie e maggiori trasparenze nella pubblica amministrazione per tutti gli incarichi che possono essere assunti da persone che hanno eventualmente i titoli. Chiedo all’Assemblea, se lo ritiene opportuno, di ritornare sull’emendamento bocciato e di riprendere l’invito del Governo di riscriverlo in maniera condivisa, razionale, ragionevole, affinché tutti ci si possano ritrovare. All’interno del ‘blocca nomine’ , – ha concluso D’Agostino – quell’emendamento dava un qualcosa in più e sicuramente sarebbe stato apprezzato non solo dall’opinione pubblica siciliana”.
Gli fa eco il collega autonomista Fortunato Romano: “Invochiamo – ha detto – un codice etico nella politica, che tutti i partiti si impongano regole prima, durante e dopo le campagne elettorali, se non le impone il Parlamento. Troppo spesso i partiti, ormai deboli e fuori da un sistema democratico, non sono più in grado di controllare questo sistema. Credo che questa norma – ha aggiunto – dia un segnale forte all’esterno, un segnale forte ai siciliani, a tutti quelli che non credono più in questa politica e immaginano che nei Palazzi ci siano soltanto ladri e banditi”.
Un codice etico. Un’idea che ricalca quella annunciata da un probabile alleato dell’Mpa, il finiano Fabio Granata: “Futuro e Libertà – ha detto due giorni fa – non solo applicherà alle sue liste, per le prossime regionali, la regola bocciata della rigorosa applicazione del Codice etico, ma ne pretenderà dai suoi alleati l’adesione poiché la Sicilia non può più tollerare inquisiti all’Ars o al Governo”. Un’esigenza sentita fortemente solo oggi dal partito fondato da un presidente della Regione sotto processo per mafia, e da un altro partito che ne ha rappresentato il più fedele alleato. Un’esigenza avvertita giusto a una settimana dalle dimissioni di Lombardo. Insomma, è proprio giunto il momento della tolleranza zero. Da adesso in poi.