PALERMO – Il processo a Raffaele Lombardo è iniziato nel 2012. In realtà la vicenda giudiziaria si è aperta nel 2010 e un anno dopo la Procura di Catania notificò un avviso di garanzia al presidente della Regione. Oggi la Cassazione ha confermato l’assoluzione.
Il giudice per le indagini preliminari Luigi Barone non accolse la richiesta di archiviazione degli stessi pm e dispose l’imputazione coatta per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato.
Diventa definitiva l’assoluzione decisa dalla Corte d’appello di Catania nel gennaio 2022. Il fatto non sussiste relativamente all’ipotesi di concorso esterno, mentre Lombardo non ha commesso il reato elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia.
L’inchiesta, che ha portato a due sentenze ‘contrastanti’ e ad un annullamento con rinvio della Cassazione, ruotava sui rapporti tra politica, imprenditori, colletti bianchi e Cosa Nostra.
Secondo l’accusa, Lombardo avrebbe favorito clan e ricevuto voti alle regionali del 2008, quando fu eletto governatore. In una delle intercettazioni chiave parlava il mafioso Rosario Di Dio: “Perché questo è gesuita, hai capito? Tu devi pensare che questo, alle prime elezioni regionali che ci sono state, questo gran bastardo aveva fatto un accordo con… a Catania. La sera prima delle votazioni, avevo la sorveglianza speciale, è venuto qua con suo fratello Angelo, si è mangiato otto sigarette, gli ho detto: ‘Raffaele, ma io che ho la sorveglianza speciale, come ci vado a cercare le persone e andargli a dire… invece di votare a… vota a Saro Di Dio. Lo posso fare domani, ormai questa sera è troppo tardi”.
La Procura in primo grado aveva chiesto la condanna a sette anni e quattro mesi di reclusione. In abbreviato, dunque con uno sconto di pena, nel 2014 il giudice per l’udienza preliminare gli aveva inflitto sei anni e otto mesi.
In appello, nel 2017, arrivò l’assoluzione dal concorso esterno in associazione mafiosa e la condanna a due anni per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione. Niente violenza, ma soldi e buoni spesa in cambio dei voti.
Nelle motivazioni la Corte scrisse che “il summit tra i vertici mafiosi e Raffaele Lombardo nel giugno del 2003 a casa” dell’ex presidente della Regione, uno dei pilastri dell’accusa, “è un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio”. Erano stati invece dimostrati, secondo i giudici di secondo grado, “i rapporti tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore”.
La Cassazione, però, annullò con rinvio il verdetto e fu necessario celebrare un nuovo processo al termine del quale, l’assoluzione fui piena e totale.
La Procura generale di Catania depositò il ricorso per Cassazione, firmato da Agata Santonocito e Sabrina Gambino, magistrate applicate al processo. Secondo l’accusa, l’assoluzione si fondava “su una motivazione frammentaria, in larga parte apodittica, che ignora molteplici elementi di prova acquisiti agli atti del processo a carico dell’imputato senza soffermarsi doverosamente a chiarire la ragione della loro irrilevanza”. Ed invece per i supremi giudici non ci sono state falle nel percorso processuale. L’assoluzione è definitiva.