CATANIA. A questo punto, lo scontro tra il leader autonomista e i leghisti Luca Sammartino e Valeria Sudano è aperto. Anzi, apertissimo. E non più confinato tra i bisbigli dei corridoi della politica. Raffaele Lombardo ha aspettato il congresso di una colomba bianca che da oggi assume le sembianze della fenice per marcare tutta la distanza possibile dai due esponenti che oggi militano nel Carroccio. E lo fa mentre in radio Vasco Rossi canta “Ma sono ancora qua… Eh, già”.
Raffaele Lombardo punta allo scontro
La goccia che è fatto traboccare il vaso è nei sei-per-tre che hanno annunciato la candidatura a sindaco di Valeria Sudano. Una discesa in campo accolta alla stregua di un atto di scortesia rispetto ai tavoli ufficiali del centrodestra siciliano. “E’ una cosa che non mi spiego che è fuori dalla logica politica. Quest’ultima, la logica politica, vuole che si concordi tra partiti”, aveva detto il leader autonomista parlando alla stampa appena prima dell’intervento davanti a una sala stracolma (tant’è che c’è stato bisogno di predisporre un maxi-schermo anche fuori).
In prima fila ci sono i leader catanesi della coalizione, compresi i tre possibili candidati sindaco di FdI (Ruggero Razza, Pippo Arcidiacono e Sergio Parisi). Presenti anche il senatore Salvo Pogliese e Manlio Messina. Andrea Messina, assessore regionale agli Enti locali, timbra il cartellino per la Democrazia cristiana. Per la Lega c’è Fabio Cantarella, costretto a prendere nota delle critiche rivolte agli attuali maggiorenti del Carroccio isolano.
L’attacco frontale
Raffaele Lombardo arriva a mettere addirittura in dubbio la sintonia valoriale di quest’ultimi con il loro stesso partito. Un’uscita al veleno che va ben oltre il bot ton congressuale. Secondo il leader del Mpa “quella di Valeria Sudano non è una candidatura politica”, ma una scelta che ha “bypassato il tavolo programmatico” con un “gruppo umano che ha occupato un partito politico” passato in “Udc, Articolo 4, Partito democratico e Italia viva” e che ha “sfiorato Forza Italia prima dell’approvazione alla Lega”.
Insomma, Lombardo la butta sulla coerenza. Sullo stile politico. E bacchetta pesantemente. Uno strappo che difficilmente potrà essere ricucito nel giro di poche riunioni. Tutt’altro. Allo stesso tempo, però, non chiude alle proposte di Fratelli d’Italia. “Razza, Parisi, Arcidiacono? Parliamone“. Ma avverte: “Non pensate di essere più bravi di Antonio Scavone, Giuseppe Lombardo, Sebastiano Anastasi (presidente del consiglio comunale di Catania, ndr) o Giuseppe Castiglione (neo deputato regionale)”.
L’autocandidatura
Ed è da qui che Raffaele Lombardo va in crescendo. Parte piano. “Mi dicono tu saresti un bravo sindaco – sottolinea l’ex governatore – ma non ho attivato sondaggi. Per ragioni di età preferisco puntare su un giovane. Non è giusto che io la faccia”.
Poi l’accelerata. “Se dovessimo andare da soli sarei disponibile a candidarmi a sindaco di Catania. Ma solo, ribadisco, se andassimo da soli. Io non mi tiro indietro, non fatelo anche voi”. Infine, lo schianto. Con Lombardo che cala l’asso. Cioè, se stesso. E giù gli applausi.
Anche qui però c’è da decidere se è l’uscita del ras di Grammichele sia tattica o strategica. E – anche in questo caso – stabilire qual è il punto di caduta. Intanto il diretto interessato si prepara a qualsiasi scenario compreso quello di un centrodestra completamente spacchettato. Prendono appunti, nel frattempo, i Fratelli d’Italia. Convinti che, non soltanto il dossier catanese sarà deciso a Roma (ipotesi che a Lombardo non piace), ma che Meloni, su Palazzo degli Elefanti, fisserà una linea rossa. “Anche a costo di fare cadere il governo regionale”, si lascia scappare di bocca uno dei bene informati di FdI.