PALERMO – Usavano la parola “papello”, divenuta di uso comune per tutti, figuriamoci per i boss rinchiusi nel carcere Pagliarelli dove gli equilibri di potere sono gli stessi che vigono all’esterno. Uno dei capipopolo è Andrea Ferrante, boss di Pagliarelli coinvolto nell’ultima inchiesta della Direzione distrettuale antimafia e dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria.
Le “aree passeggio” e la “sala socialità” sono state zone di incontri e summit. Fino a quando non sono state piazzate le microspie. Giravano pizzini e si usavano i cellulari clandestinamente. Durante la stagione del Covid le video chiamate sono state autorizzate per evitare che con i colloqui tradizionali il virus entrasse in carcere.
Sarebbe stato Ferrante a promuovere l’iniziativa dei detenuti nei giorni della pandemia. Nel dicembre 2020 una delegazione di detenuti composta da Michele Madonia, Salvatore Sansone, Agostino D’Alterio, Francesco Pitarresi, Salvatore Ariolo, Cristian Cinà e Giuseppe Vassallo ottenne un incontro con la direzione. I detenuti chiedevano di potere comprare più cibo dall’esterno. Ferrante era pronto ad organizzare una protesta: “… forse iniziamo la battitura alle 7:30 alle 8:00 dalle 6:00 alle 6:30 voi per come sentite a noi iniziate”.
Fecero una “lista” dei generi alimentari che volevano che venissero introdotti in carcere. Un “papello” di richieste in cui furono inseriti anche la ricezione di pacchi postali e i colloqui in presenza con i parenti. Il documento fu firmato da tutti i detenuti. Qualcuno alla fine si tirò indietro, creando malumori. In caso di diniego all’incontro al segnale concordato gli altri detenuti dovevano iniziare a colpire le sbarre con le scodelle. Anche questo episodio è finito nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal sostituto Federica La Chioma.
“In passato avevo già denunciato, in Aula, che la scellerata gestione della sicurezza in carcere durante il Covid avrebbe portato le organizzazioni mafiose a tentare una trattativa sulle condizioni detentive, assumendo il comando della popolazione detenuta. Le terribili immagini delle rivolte carcerarie, quindi, erano la cartina al tornasole di una grande capacità delle organizzazioni mafiose di mantenere saldo il controllo del territorio e, ovviamente, del pianeta carcere. Questo ‘papello’ in salsa moderna, all’origine delle proteste nel carcere Pagliarelli, è solo l’ennesima prova, qualora ve ne fosse bisogno, che le condizioni detentive, specialmente per gli appartenenti alle organizzazioni mafiose, devono rimanere particolarmente restrittive e rigorose. Bene abbiamo fatto, dunque a difendere il 41bis e l’ergastolo ostativo dagli ultimi attacchi del progressismo giuridico”. Lo dichiara il deputato di Fratelli d’Italia Carolina Varchi, capogruppo per Fdi in commissione Giustizia a Montecitorio.