LEONFORTE. I due mafiosi leonfortesi Alex e Saimon Fiorenza hanno lasciato il carcere. Sono agli arresti domiciliari da qualche giorno, dopo aver beneficiato a giugno di sconti di pena in virtù di un concordato al processo “Caput Silente”.
Sono i due figli di colui che dieci anni fa era ritenuto il “sapiente” boss di Leonforte, Giovanni Fiorenza. Soprannominato pure “sacchinedda”, nel 2013 Giovanni Fiorenza fu accolto a braccia aperte dentro Cosa Nostra, anche perché imparentato con il referente negli anni ’90 del clan di Enna, l’ergastolano leonfortese Rosario Mauceri.
Ma Giovanni Fiorenza è tornato libero da tempo e libero lui lo è pienamente, nella sua Leonforte. Ha scontato la sua pena. Ha pagato il suo debito con la giustizia. Liberi senza alcuna restrizione, del resto, sono anche gli altri coinvolti nell’inchiesta “Homo Novus”, quella con cui dieci anni fa la polizia diede scacco al tentativo di rifondare la mafia in paese.
L’autorizzazione del boss provinciale Seminara
I Fiorenza avevano creato un clan lavorando dalle fondamenta “malmesse” (così le definirono, intercettati) del vecchio gruppo pre-esistente. Forti dell’investitura di zio Turiddu Seminara, colui che all’epoca comandava gli affari mafiosi in tutta la provincia di Enna, hanno tentato con scarsi successi di imporre il pizzo. Sono finiti in carcere in meno di sei mesi. Un’escalation mafiosa dal bilancio fallimentare. Non risultano estorsioni compiute. Solo tentativi vani.
Tra quelli dell’operazione Homo Novus l’unico ancora in cella è Gaetano Cocuzza, che in appello al processo “Caput Silente” ha concordato 12 anni a giugno. Alex Fiorenza “u stilista” invece a giugno ha ottenuto una riduzione di pena a 7 anni e 6 mesi, Saimon “u bufalu” a 7 anni. La custodia cautelare per loro continua ai domiciliari con braccialetto elettronico.
I dubbi sullo scenario attuale, dopo la caduta di “zio Turiddu”
Di fatto nessuno dei leonfortesi condannati in via definitiva per associazione mafiosa oggi è dietro le sbarre. E va ricordato un fattore preoccupante. Il gruppo di Leonforte, con il formale riconoscimento di Seminara, è stato nella storia uno dei pochissimi clan di Cosa Nostra ad aver modificato la geografia mafiosa ennese.
In passato in provincia di Enna esistevano solo 5 cosche: a Enna, Pietraperzia, Barrafranca, Calascibetta e Villarosa, con ramificazioni negli altri centri. Oggi ne esiste una sesta. A Leonforte. Non si sa quanto di questo, Seminara, fosse consapevole quando diede loro il via libera.
Così come non è certo quanto questo dato, dopo la caduta di Seminara, che oggi – detronizzato dal clan di Pietraperzia – dentro Cosa Nostra ennese conta zero, rimanga attuale. Sta di fatto che a Leonforte, a differenza di trent’anni fa, permane un clan riconosciuto. E questo nonostante risultati mediocri, figuracce e scenari ai limiti del grottesco.
La criminalità “comune” in città: la ripresa dei furti
A Leonforte non è solo la criminalità organizzata a destare preoccupazioni, ma anche la cosiddetta criminalità comune. Nelle ultime settimane sarebbero ripresi i furti nelle campagne e i furti d’auto. Alcuni osservatori lo considerano uno degli effetti della disperazione provocata dal taglio del reddito di cittadinanza.
In uno dei paesi più poveri d’Italia, questa misura di fatto era il principale strumento di sussistenza per alcune centinaia di persone. E nel frattempo, infine, il principale avamposto di legalità, il Commissariato di Polizia, negli anni ha visto ridurre il personale operante. Il dato positivo riguarda la sua sede: la nuova amministrazione ha impresso un’accelerazione al trasferimento da via Borzì ai più moderni locali dell’ex Pretura.