PALERMO – L’amicizia, la fiducia, il contesto della scuola. Tre fattori chiave nella vita della diciottenne che ha subìto le violenze dal padre-orco di 46 anni, che soltanto confidandosi con una compagna di classe è riuscita a raccontare il suo dramma. Da quello stupro è nato un bambino, una presenza che adesso la ragazzina dovrà accettare, convivendo nel frattempo con un passato che avrà segnato la sua vita per sempre. E’ soltanto l’ennesimo caso di pedofilia a Palermo. Ma è il più eclatante. Così lo definisce l’esperta, la psicologa e psicoterapeuta Maria Neri, responsabile della comunità alloggio “Caleidoscopio”, che ospita e aiuta le vittime di abusi.
“Sì, un caso eclatante – conferma – perché solitamente, un padre che abusa della figlia agisce evitando la gravidanza. Stavolta il contesto in cui avvenivano le violenze – andate avanti per diversi e quando la vittima era ancora minorenne – era di particolare degrado. Ma, paradossalmente, il fatto stesso che la ragazza fosse incinta, ha fatto venire a galla una situazione che con ogni probabilità sarebbe stata insabbiata”. D’altronde, la famiglia temeva lo scandalo, al punto da provare a convincere la giovane ad abortire. La madre – secondo gli operatori a conoscenza delle violenze e consenziente, voleva invece attribuire la paternità ad un altro uomo.
Dopo l’esame del dna tutto è stato squallidamente chiaro: il nonno-padre ha continuato ad avvicinarsi alla figlia non rispettando l’ordine di allontanamento della Magistratura e ieri, infine, è finito in manette. “Il minore abusato dal proprio genitore – spiega Neri – vive un’iniziale fase di confusione affettiva. E’ consapevole che quello a cui viene sottoposto è qualcosa di trasgressivo, ma si fida perché a legittimarne tale trasgressività è proprio il genitore, ovvero, il suo punto di riferimento. Successivamente, è il segreto da mantenere che costituisce il peso più grande: la vittima viene obbligata e pressata psicologicamente perché nulla venga raccontato e comincia a sentirsi in colpa perché non può, d’altro canto, svelare niente all’altro genitore.
Nel frattempo però – aggiunge la psicologa – cominciano a manifestarsi alcuni sintomi inequivocabili: chi è vittima di abusi sessuali ha disturbi del sonno, problemi con l’alimentazione e tendenze autolesionistiche. Sta agli operatori nelle scuole e alle persone vicine quotidianamente alla persona abusata, coglierli. Per questo è necessario che anche la scuola lanci degli input importanti e che i segnali un tempo attribuiti ad altri tipi di disturbi, comincino ad essere riconosciuti subito”. La diciottenne, dopo essere stata ascoltata da operatori specializzati del settore, compresi quelli del pronto soccorso dell’ospedale e della squadra mobile della questura di Palermo, si trova “a protezione”. “Dovrà ricominciare a vivere – continua l’esperta – ed elaborare il suo passato per convivere con il suo presente, in cui sarà fondamentale il processo di accettazione del suo bambino.
Quello degli abusi in famiglia è purtroppo un fenomeno in escalation – sottolinea Maria Neri – e bisogna sfatare l’idea che casi come questo riguardino soltanto le famiglie che vivono nel degrado o quelle ai amrgini della società. Episodi intrafamiliari avvengono pure in contesti di benessere e riguardano anche bambini molto piccoli, dai cinque ai dieci anni. Per questo è un bene che la pedofilia non diventi un tabù e che ci sia maggiore informazione. Solo così può aumentare l’attenzione e la percezione dei sintomi, in modo che gli operatori possano intervenire con celerità. Spesso – conclude l’esperta – non ci sono segnali fisici che parlano chiaro: la sintomatologia va interpretata il prima possibile.