PALERMO – Che in “zona salvezza” ci fossero solo 27 punti vendita dei 45 totali, purtroppo, si sapeva già. Ma l’elenco dettagliato dei licenziamenti (LEGGI QUI), a pochi giorni di distanza dal disco verde acceso dalla sezione fallimentare del tribunale di Catania sul “concordato preventivo” tra creditori e acquirenti, giunge comunque come una doccia fredda.
La raccomandata, con ricevuta di ritorno, inviata dal commissario liquidatore di Aligrup, Maurizio Verona, a tutte le sigle sindacali oltre ad assessorato regionale al lavoro, direzione provinciale del Lavoro di Catania e Confcommercio etnea, parla chiaramente già nell’oggetto: “Procedura per la dichiarazione di mobilità – Riduzione di personale ex art. 24 legge 223/91”. Quindi dà i numeri dei licenziamenti: 771, su un totale di circa 1600 dipendenti, sparsi in tutta la Sicilia: 330 addetti alla vendita; 214 addetti ai reparti freschi e freschissimi, 74 addetti ai servizi e altri 153 impiegati del Centro direzionale.
Il gruppo della grande distribuzione (al netto del 15% controllato da un amministratore giudiziario per le vicende giudiziarie che hanno interessato il suo proprietario, Sebastiano Scuto), gestisce 45 negozi a marchio Despar, Eurospar, Interspar, Iperspar e Eurocash nelle province di Catania, Palermo, Ragusa, Siracusa, Enna, per un totale di 1409 dipendenti, così inquadrati: 3 dirigenti; 11 quadri; 274 impiegati; 1091 operai; e 30 apprendisti.
Zoccolo duro della società è il Catanese con 33 punti vendita e 943 unità, più un centro direzionale che occupa 156 persone. Nel Palermitano ci sono, invece, 3 punti vendita con 76 dipendenti; nell’Ennese due con 27 dipendenti; nel Ragusano due con 16 unità e nel Siracusano 5 con 191 unità.
Ma i debiti accumulati negli ultimi due anni che hanno portato all’azzeramento del capitale sociale e a un deficit patrimoniale di quasi 4 milioni di euro ha tracciato la via per la liquidazione della società, avviata lo scorso 23 luglio, con l’obiettivo di dismettere i rami commerciali così da ristrutturare i debiti. “Purtroppo il tentativo di dismissione dei rami aziendali – si legge nella nota del liquidatore – non si è concretizzato e questo ha comportato la non procedibilità dell’operazione di ristrutturazione dei debiti e, per l’effetto, si è incamerata la procedura concorsuale del concordato preventivo, ancora in corso di definizione, che dovrà per forza di cose prevedere una ristrutturazione aziendale con una riduzione degli organici attuali insiti nelle unità non più produttive e profittevoli”. Quindi aggiunge: “In conseguenza di ciò, si rendono necessari interventi strutturali sul personale, atteso che ad oggi si evidenzia una dimensione di esuberi pari a 771 unità lavorative”.
Una situazione drammatica, che i sindacati stanno cercando di aggirare con la cassa integrazione: “Abbiamo già predisposto – dice Mimma Calabrò, segretario generale della Fisascat Cisl – la richiesta di esame congiunto per scongiurare la mobilità e fare un passaggio sulla cassa integrazione straordinaria. Adesso aspettiamo l’incontro con il liquidatore”.
Rilancia Marianna Flauto della Uiltucs: “Abbiamo chiesto l’esame congiunto e la cassa integrazione nelle more che si possano concretizzare le cessioni dei punti vendita, per le quali speriamo che i tempi siano celeri. A tal fine non escludiamo forme di protesta e rinnoviamo la richiesta di incontro col presidente della Regione. Il problema è di carattere regionale e proveremo a far sì che si accelerino i tempi della cessione perché le filiali non possono restare chiuse per tutto questo tempo. Tra l’altro anche le filiali che resteranno aperte non hanno comunque la varietà merceologica, quindi o si cercherà di recuperare la produttività o anche per questi punti vendita la crisi rischia di essere irreversibile”.
E, intanto, i lavoratori attendono che qualcun altro scriva il loro futuro.