PALERMO – Un anno fa finiva la latitanza di Matteo Messina Denaro. I carabinieri del Ros monitoravano gli spostamenti di Andrea Bonafede, il geometra trapanese che gli ha prestato l’identità per curarsi. Il diario clinico trovato nella gamba di una sedia a casa di Rosalia Messina Denaro, la sorella del padrino, aveva segnato la tanto attesa svolta investigativa. Qualcuno di cui mantenere coperta l’identità era malato di tumore.
L’arrivo del geometra in clinica
Andrea Bonafede aveva il cellulare mappato sin dalla partenza da Campobello di Mazara. Arrivò a Palermo alle 7:26 e si registrò alle 8:13 alla clinica La Maddalena. Per una manciata di minuti i carabinieri lo persero di vista. Messina Denaro e il suo autista Giovanni Luppino erano dentro una Fiat Bravo, parcheggiata in via Domenica Lo Faso, una stradina a pochi passi dalla clinica. Il capomafia aspettava il turno per iniziare il ciclo di cure.
L’ARRESTO UN ANNO DOPO: LUOGHI E MISTERI (VIDEO)
Diari, lettere e pizzini
Nelle ore e nei giorni successivi si scopriranno i covi e cadranno le pedine della ristretta rete di favoreggiatori. Saltarono fuori i diari, le lettere e i pizzini, le istruzioni per non farsi scoprire dagli investigatori. Da latitante ha trovato il modo di ricambiare l’amore della maestra Laura Bonafede, di creare un rapporto solido con la figlia di quest’ultima, Martina Gentile. In punto di morte di ricostruire anche quello con la figlia Lorenza, per troppo tempo segnato da incomprensioni. Alla fine la ragazza a scelto di prendere il cognome del padre.
La morte e l’eredità
Il 25 settembre Matteo Messina Denaro è morto all’ospedale San Salvatore. Aveva 61 anni, trent’anni dei quali vissuti da latitante. Bisogna alzare il livello investigativo per scovare complicità e connivenze di un boss ricco e potente. C’è un’eredità non solo familiare, ma anche mafiosa ed economica da scovare. C’è un particolare inquietante. Dai diari del padrino emerge che avrebbe avuto come base Campobello di Mazara, il paese in cui è stato trovato l’ultimo suo covo, fin dal 1996. Da qui si sarebbe spostato in mezza Italia e all’estero. Egli stesso, interrogato dal giudice Alfredo Montalto, ha ammesso di avere un patrimonio sfuggito ai sequestri.
Un anno dopo la morte c’è una certezza: si conosce una piccolissima parte della vita di un uomo capace per tre decenni di prendersi gioco di un intero Stato, di sfuggire alla cattura nonostante l’impiego di centinaia di uomini e delle più sofisticate tecniche investigative. Lo cercavano in capo al mondo e lo hanno trovato sotto casa. “Un albero in mezzo alla foresta”, ha detto agli investigatori. Ci vorrà tempo, ma l’obiettivo è azzerare la foresta popolato da amici e fiancheggiatori. “Non è nella mia cultura accusare, ci sono persone che mi hanno aiutato”, ha detto ai magistrati.
Molti sono imprenditori che hanno foraggiato la famiglia Messina Denaro. Nessun contava sull’aiuto di un mafioso irredimibile. La Procura di Palermo conta di svelare da sola le identità nascoste sotto i nomignoli scelti dal capomafia. Otto mesi di carcere e 30 anni di latitanza. Sono più i segreti che le verità svelate.