Sanremo e dintorni: volete sapere come scrivere una canzone?

Sanremo e dintorni: volete sapere come scrivere una canzone?

Appunti sui costumi degli italiani

CATANIA – “Volete sapere come scrivere una canzone? La scrittura di una canzone è fatta di contrappunti, il contrappunto è la chiave, mettere due immagini diverse una accanto all’altra e vedere se fanno scintille, come lasciare un bambino nella stanza con uno psicopatico mongolo o qualcosa del genere e mettersi comodi a vedere che cosa succede, poi fai entrare un pagliaccio su un triciclo e di nuovo aspetti e guardi, e se non succede niente spari al pagliaccio.”

Tutti quelli guardano Sanremo, ed anche quelli che non lo guardano, non fanno mente locale su un fatto abbastanza evidente e probabile, visti i precedenti: il Festival di Sanremo rimane, mentre noi passeremo. Il problema di ogni critica che si rispetti, e per questo motivo fastidiosamente poco rispettabile, è che essa interviene sempre dopo, ex post, a cose avvenute, e mai prima. Sembra un fatto scontato ma non è detto che sia giusto oppure onesto. La cosa che personalmente io non saprei fare è proprio una critica, o un’analisi di una cosa che si chiama Festival di Sanremo, non solo perché incorrerei in ciò che dicevo, appena sopra, ma anche perché, in questo caso, non sarebbe facile capire cosa analizzare. Questa cosa che continuiamo, a chiamare Festival di Sanremo è tante cose messe in una sola sceneggiatura televisiva; e non di una televisione canonica, ma di questa a noi contemporanea, che non ha legami con quella di un tempo. 

Chi ha la mia età sa benissimo che tra le attese che animavano gli italiani negli anni sessanta per ogni sua edizione e il disinteresse che per molti anni, poi, ha subito sino alla metà degli anni ottanta, questa nuova formula è qualche cosa di completamente diverso. In questa formula del nuovo millennio, le canzoni sono anche più presenti, visto il numero dei concorrenti, quindi non si può dire che siano la scusa strumentale di uno spettacolo, come molti affermano. Proprio perché esse sono numerose, importanti e trainanti, sono state circondate e assediate da altri protagonisti e da altri messaggi, che al traino si presentano davanti ad una platea che non avrebbero in nessun’altra occasione. L’influenza che tutto questo ha sulle canzoni, è che esse, in una certa percentuale, sono scelte in rapporto ai temi che di anno in anno possono attrarre un pubblico potenziale che vuole sentire cantare quei temi, vedere la maniera con cui sono interpretati, umanamente prima che vocalmente, anche attraverso il vestito che indossano e le eventuali dichiarazioni spontanee, gridate al microfono, dopo la loro esibizione. 

A Sanremo non si ascoltano solo canzoni ma si sente anche l’umore del tempo che viviamo, la sua cifra, il suo spirito, come si può ancora dire, di cui però Sanremo non è lo specchio ma uno dei momenti di comunicazione e formazione del disegno, della sostanza di questo tempo. Questa è la novità del Festival di questo secondo millennio: non più specchio ma forma. Non più, quindi, momento di rappresentazione di chi siamo ma momento di formazione di chi saremo. Un bene? Un male? Ho l’impressione che sia così, e se ciò sia un bene o un male non è in questo momento all’ordine del giorno ma, soprattutto, non è certo risolvibile nel vedere o meno Sanremo. 

Però le canzoni ci sono. E su questo non si scherza, perché la canzone è una culla popolare, magnanima e forse democratica, di emozioni, che non è tenuta ad andare incontro ai nostri gusti personali, o alle vivisezioni da accademia musicale. Ogni essere umano ne attende una, ed essa, puntualmente, arriva e resta nella sua memoria sin quando vive. 

La canzone è la maniera che gli umani hanno inventato, molti secoli fa, mutuandola da una forma scritta in versi che già era canzone, e che pur silenziosa aveva una musicalità implicita, per alzare la voce in maniera educata. La canzone è una maniera per leggere a voce alta e a memoria la forma che assume un’emozione quando gli si confeziona intorno, il vestito della parola, per comunicarla non solo a chi, può leggerla su un foglio di carta bianca; non solo a chi gli sta accanto e getta l’occhio su quel foglio; non solo a chi, se il lettore lo vuole e lo sente, può ascoltarne la lettura quasi senza toni, bisbigliata. 

La canzone è il bisbiglio con cui spesso comunichiamo delle emozioni, che passano da labbra a labbra, da orecchio a orecchio, all’interno di uno stesso metro quadro di spazio, che a un tratto si emancipa e diventa un urlo educato, organizzato, redento. E’ una scrittura che già suona, ma che ha già nella mente una voce di cui si è innamorata la sera prima. Non si scherza, quindi, con le emozioni dette ad alta voce. 

Da decenni Sanremo ne regala tante, e pur sapendo che per tante che emozionano, ve ne sono altrettante che mancano il bersaglio del cuore, per la loro mediocrità, io dico che sono contento di aver vissuto in un Mondo in cui esiste la canzone e questo momento ligure e italiano in cui essa sa di potersi fare sentire in modo privilegiato. Sono contento non solo perché alcune di esse hanno emozionato anche me (e questo è puro egoismo) ma perché so che tante persone, nel momento della ricapitolazione, quando il tempo sfugge tra i respiri degli ultimi momenti, sono andate via avendo in testa una canzone, e molte volte, una di Sanremo. Vi sembra poco?


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