Palermo, i boss che si odiavano decisero insieme l'omicidio

Palermo, i boss che si odiavano decisero insieme l’omicidio: ergastolo

Il boss Antonino Rotolo
Nino Rotolo e Antonino Cinà chiedevano la revisione

PALERMO – Niente revisione ed ergastolo definitivo. La Cassazione conferma il carcere a vita per i boss Antonino Rotolo ad Antonino Cinà. Sono colpevoli della lupara bianca di Giovanni Bonanno, reggente del mandamento di Resuttana, ucciso perché aveva gestito male la cassa del mandamento. Scomparve nel nulla nel gennaio del 2006.

Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo anche Salvatore Lo Piccolo e Diego Di Trapani. Ai parenti dei boss non arrivavano più soldi. Lo Piccolo lo aveva scritto in un pizzino a Bernardo Provenzano: “Purtroppo non c’è stato modo di scegliere altre soluzioni”. Bonanno aveva capito di avere i giorni contati. Nel Natale del 2005 confidò alla moglie di essere finito nei guai, di non avere via di scampo. Stava per fare la stessa fine del padre, il killer Armando Bonanno. Della vittima furono trovati alcuni resti, a gennaio del 2008, in un terreno di fondo Pottino a Villagrazia di Carini.

La richiesta di revisione sosteneva l’ipotesi che a volere la morte di Bonanno fossero stati soltanto i boss di Resuttana e San Lorenzo, Di Trapani e Lo Piccolo, come era emerso nel corso del processo a carico dei due capimafia. Di parere opposto i supremi giudici.

L’accusa si reggeva sul racconto del collaboratore di giustizia Gaspare Pulizzi, su un pizzino trovato nel covo di Bernardo Provenzano a Montagna dei Cavalli e sulle intercettazioni nel box di lamiera dove Nino Rotolo convocata i summit ad una manciata di metri dalla sua villa. Il boss dell’Uditore aveva ottenuto i domiciliari per motivi di salute.

Il pizzino a Provenzano

Lo Piccolo scriveva a Provenzano: “Per quanto riguarda quello che si chiamava come il suo paesano, purtroppo non c’ è stato modo di scegliere altre soluzioni, in quanto se ne andava di testa sua. Tentativi per non arrivare a brutte cose ne sono stati fatti parecchi, anche mettendogli una persona accanto, ma non è servito lo stesso a niente. E a questo punto abbiamo dovuto prendere con D. questa amara decisione”. “D” era Diego Di Trapani.

Cimici nel box

Nino Rotolo, Franco Bonura e Nino Cinà parlavano del delitto intercettati dalla squadra mobile di Palermo. “E’ un pazzo scatenato (…) si è fottuto i soldi, ha abbandonato i carcerati”. L’8 settembre del 2005, sempre nella villa di Rotolo, venne emessa una sorta di sentenza. “Noi siamo sempre fermi al discorso di questo Bonanno è giusto? Che ora è diventato…” – diceva Rotolo con Cinà che lo interrompeva per continuare – “…pesante”. I due allora decisero di investire della questione Diego Di Trapani, l’uomo messo a suo fianco nella reggenza della famiglia di Resuttana, che a sua volta fece sapere di attendere anche lui soldi dal giovane Bonanno. Fino al fatidico: “E’ indisciplinato. La sua lampadina dobbiamo stutarla”.

La Cassazione

Ora la Cassazione sottolinea: “Il succedersi degli eventi mostra chiaramente la costante determinazione omicida nei confronti di Bonanno da parte del gruppo mafioso facente capo al Rotolo e al Cinà; il progressivo ineluttabile coinvolgimento nell’omicidio del sodalizio mafioso di appartenenza della vittima, il mandamento di Resuttana; il graduale diretto personale interessamento di Di Trapani, una volta ritornato reggente del mandamento; nonché l’allargamento della responsabilità della decisione omicida al capo della componente mafiosa allora antagonista di Rotolo, vale a dire Salvatore Lo Piccolo”. Pur se nemici – Rotolo aveva in mente di ammazzare Lo Piccolo e viceversa i due boss concordarono sulla scelta di ammazzare Bonanno.


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