PALERMO – Gli ispettori sono arrivati ieri, di buon mattino. Hanno fatto tappa all’Ufficio di gabinetto e sono andati via con tre faldoni di carte. Sono i documenti sulle spese effettuate con i “fondi riservati” dall’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo su cui ora indaga la procura regionale della Corte dei conti.
A raccontare della “visita” dei tre ispettori è una fonte autorevole di Palazzo d’Orleans. Inutile cercare conferme negli uffici della magistratura contabile. È certo, però, che da ieri qualcuno sta spulciando le spese dell’ex governatore nelle stanze di via Cordova. E di lavoro ce n’è parecchio. Dal suo insediamento nel 2008 all’addio nel 2012 sono circa duecento i mandati di pagamento a firma Raffaele Lombardo. A riaccendere l’attenzione sui fondi riservati fu, nel settembre scorso, l’allora candidato alla presidenza Claudio Fava, costretto poi a rinunciare alla corsa elettorale perché non residente in Sicilia. O meglio, aveva trasferito casa a Isnello, comune della Madonie, ma in ritardo rispetto ai tempi stabiliti dalla legge. “Raffaele Lombardo dica come ha speso mezzo milione di euro di fondi riservati”, tuonava il candidato di Sel, Idv e Federazione della sinistra. La replica di Lombardo non si era fatta attendere e di certo non era stata meno dura del suo avversario. “Se qualcuno immaginava di trovare feste e festini – recitava un comunicato dell’ufficio stampa della Presidenza – ha sbagliato indirizzo. Questa polemica è il più classico degli autogoal. Il capitolo delle ‘spese riservate’ della Presidenza della Regione siciliana è stato utilizzato per fornire aiuti concreti a soggetti particolarmente bisognosi, a persone svantaggiate e poste ai margini della società”.
E Lombardo giustificava pure l’aumento delle spese nel 2011 – da duecentomila euro previsti si era passati a cinquecentomila – “anche a causa di una crisi sistemica che ha colpito prima di tutto e più duramente tutti le fasce più deboli”. Lombardo confermò pure che le spese erano state regolarmente rendicontate.
Negli anni Novanta l’uso disinvolto del capitolo di spesa “fondi riservati” costò una pesante condanna per peculato a due predecessori di Lombardo, Giuseppe Provenzano e Beppe Drago. Tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999 il neo presidente Angelo Capodicasa, al momento del suo insediamento, si rese conto che il fondo per le spese “istituzionali” del governatore era vuoto. Non era rimasta neppure una lira. Drago e Provenzano si difesero sostenendo che non ci fosse alcun obbligo di rendicontare le spese.
Lombardo, quando impazzò la polemica con Fava, precisò subito che la rendicontazione delle uscite era a disposizione di tutti. Adesso spetta alla procura della Corte dei conti valutare l’utilità di quelle spese. Così come la procura della Repubblica sta setacciando quelle dei gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana.