Il boss pentito, i misteri e le torture: le verità della figlia Luana

Il boss pentito, i misteri e le torture: le verità della figlia Luana

Ventotto anni dopo, risulta ancora un fascicolo aperto sui mandanti

CATANIA – “Ho deciso di pubblicare alcuni stralci delle lettere di mio padre perché voglio che tutti sappiano chi era Luigi Ilardo e cosa ha vissuto quest’uomo. Ancora oggi, la Procura di Catania ci risponde che risulta un fascicolo aperto sui mandanti del suo omicidio. Ventotto lunghi anni dopo”.

Luana Ilardo è la figlia di Luigi, vittima di un commando di killer mentre collaborava con lo Stato. La storia di Ilardo è ancora oggi uno dei più intricati misteri d’Italia. Se ne parla con riferimento alla cosiddetta ‘mancata cattura’ di Bernardo Provenzano.

Nel maggio del ’96, venne ucciso. Il nome in codice di Ilardo, che agiva come una sorta di infiltrato, era “fonte Oriente”.

Le condanne

Per il delitto sono stati condannati vari boss in via definitiva (dal 2020), tra cui Vincenzo Santapaola, Giuseppe Madonia e Maurizio Zuccaro. La figlia Luana è una libera professionista. Da anni porta avanti una battaglia perché la gente sappia veramente chi era suo padre. E tutto ciò che ha vissuto.

A partire da una delle pagine più tristi, una testimonianza su cui, va precisato, non è possibile trovare riscontri dopo tutti questi anni. Si tratta dei racconti circa le torture in carcere che sarebbero avvenute in quegli anni. Torture che Luigi Ilardo avrebbe subito nel tentativo di farlo parlare. “Mio padre è stato detenuto lì – afferma – tra il 1991 e il 1992. Pesava 104 chili e dopo la detenzione è arrivato a 78 chili”.

Luana la settimana scorsa è tornata all’Asinara e ha presentato il libro, scritto tre anni fa da Anna Vinci, “Omicidio di Stato – la storia di Luigi Ilardo”, in cui lei racconta molte storie legate a suo padre. La presentazione è stata resa possibile grazie alla collaborazione del direttore del parco Asinara Vittorio Gazale.

Un momento dell’evento all’Asinara, a destra Luana Ilardo

“Il direttore Gazale è stato estremamente disponibile e gli sono grata per avermi consentito di parlare lì, dove si è consumata questa pagina triste della vita di mio padre – prosegue la donna -. In questi giorni ho deciso di pubblicare la storia di mio padre, le sue lettere, perché non era giusto che questa verità rimanesse privata. Tutti devono sapere”.

La lettera

Le rivelazioni su ciò che sarebbe avvenuto in carcere, parola di una delle vittime, è agghiacciante: “Nelle orecchie – scriveva Ilardo alla moglie – mi sono rimaste le laceranti grida che squarciavano all’improvviso quella pesante coltre di silenzio che era calata nelle sezioni dove eravamo rinchiusi, di detenuti che venivano pestati a sangue e molto peggio degli animali con bastonate e pedate”.

“Il mangiare che nemmeno i porci potevano mangiare, ci veniva buttato dagli spioncini – si legge ancora nella lettera – come si butta il pane ai cani e tante altre mille umiliazioni che avevano lo scopo di farti maledire di essere nato”.

“Solo l’amore per le mie figlie e la consapevolezza che loro avessero bisogno di me, mi ha dato la forza di subire e superare questo triste momento. Alle volte mi sembrava di rivedere quei film dei campi dì concentramento nazisti, cercavo di svegliarmi e invece mi accorgevo che era realtà…”.

In Parlamento

Luana Ilardo del resto ha già parlato di questi temi in Commissione Parlamentare Antimafia, e in quella sede, dopo aver narrato le indicibili sevizie subite dal padre, ha sottolineato: “Questo è ciò che è accaduto e che sentivo fin da piccola gridare nella cucina di casa mia quando mia Nonna”.

L’immagine di sua nonna, è quella di una donna che cerca di proteggere suo figlio: “In totale strazio e disperazione, rientrando da quei luoghi dove l’umanità era stata dimenticata, gridava con lacrime incontenibili agli avvocati per telefono: “Mio figlio me lo stanno ammazzando li dentro, dovete farlo trasferire altrove”.

L’inchiesta e l’appello

La Procura di Catania ci risponde che il fascicolo a modello 21 è ancora aperto – conclude –. Ci sono già stati tre processi: quello sull’omicidio, quello sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” e quello sulla mancata cattura di Provenzano. Eppure la verità è ancora lontana e chi ha avuto un ruolo nell’omicidio di mio padre continua a restare impunito”.

“Non mi stancherò di lottare e faccio appello a chiunque possa aiutarmi perché agisca – conclude -. Adesso ho tirato fuori le lettere di mio padre perché c’è stata la possibilità di andare all’Asinara, grazie al dottore Gazale, ma questa era la mia seconda battaglia. La prima, che poi comprende anche questa, è affermare la verità”.


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