PALERMO- Scrive Marco Travaglio sul ‘Fatto’, a commento delle elezioni: “Per i partiti è la nemesi perfetta uscita dalle urne (funerarie): se rifanno l’ammucchiata regalano altri milioni di voti a Grillo; se ci rimandano al voto, invece, pure. In Sicilia si chiama incaprettamento, ma ora potremmo ribattezzarlo ingrillamento: il cappio al collo e la corda annodata alle mani e ai piedi della vittima che, appena si muove per liberarsi, si strozza da sè”.
Siamo contemporanei anche noi, mica vogliamo suonare il violino col sentimento del buongusto che non c’è, perché l’incaprettamento è una cosa seria, di soffocamenti, carne straziata e dolore. Per carità! Non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello l’ascesa lungo la strada di sassi che conduce alla saggezza, dato il contesto circense.
Però forse Travaglio potrebbe sforzarsi di trovare altri neologismi appetitosi. Non toccò a lui una celebre figura barbina al cospetto di Berlusconi che venne invitato a ‘Servizio pubblico per essere rosolato e rosolò Marco e Michele (Santoro) con il loro stesso fuoco di paglia? Insomma, ognuno si prenda la sua parte di colpa, vista da sinistra. E Travaglio ricordi la scena della spolverata alla sedia col fazzolettino che lo sotterrò e rilanciò il Cavaliere, prima di emettere sentenze di condanna. Come chiamarlo: inarcorimento, inberlusconimento, insilviamento? Ecco. Imberlusconato. Però, non ci permettiamo. Marco, sei bravissimo. Vedi un po’ tu.
