PALERMO – “Che rivendichi i valori di suo padre non mi stupisce. In fondo, Salvatore Giuseppe Riina è stato già condannato per associazione mafiosa”. Il sostituto procuratore Gaetano Paci, presidente della fondazione “Progetto Legalità”, non si è sorpreso quando venerdì mattina ha letto l’intervista del “Corriere della Sera” a Riina jr: se il figlio del “capo dei capi” si dice “fiero” del padre, in fondo, per il magistrato era prevedibile. “Che valori gli siano stati trasmessi – dice – emerge da una sentenza passata in giudicato”.
Però questa intervista fa riflettere su un punto: Riina jr ha scontato la pena, ma non fa retromarcia sull'”adesione ideale” al pensiero del padre. Le faccio una domanda tranchant: la rieducazione del detenuto è possibile nel caso di un mafioso?
“Andiamo a monte: Salvatore Giuseppe Riina è stato condannato per associazione mafiosa perché ha condiviso le dinamiche di un’organizzazione di cui il padre era il capo. Il suo agire si pone in perfetta continuità con quello del padre. E’ chiaro che la rieducazione che la Costituzione prevede per ogni tipo di pena carceraria implica un’adesione del detenuto. Una volontà, cioè, di intraprendere un percorso di vita alternativo a quello che l’ha portato a scontare la pena. Se questo elemento non c’è, è naturale conseguenza che la rieducazione non raggiunga il suo fine. D’altra parte una rieducazione forzata in democrazia non è concepibile: un concetto di questo genere è compatibile solo con i sistemi totalitari”.
Se una rieducazione non è possibile, o quanto meno se è così difficile, non è il caso di rendere più severe le pene per l’associazione mafiosa?
“Le pene per l’associazione mafiosa sono già molto severe. Bisogna per distinguere tra mera adesione etica ai valori di Cosa nostra e recidiva nel reato. La recidiva è punita con pene più dure, mentre l’adesione morale ai valori non è un fatto punibile, anche perché si tratta del figlio di un boss mafioso”.
A queste condizioni, però, forse la Sicilia è davvero irredimibile.
“Episodi come questo non devono impressionare. Nel recente passato ci sono stati tanti altri esempi di figli o congiunti di esponenti mafiosi che hanno fatto esperienze alternative. Possono essere citati tanti esempi, non solo in Cosa nostra ma anche in altre organizzazioni criminali. La Sicilia è redimibile perché molte forme di ribellione al sistema mafioso si stanno manifestando. Perché si moltiplichino ancora occorre un’operazione di tipo culturale che sappia conquistare la gente”.
Ma davvero lo Stato non ha nulla da rimproverarsi?
“Noi dobbiamo considerare che la nostra legislazione è fra le più avanzate al mondo nel reprimere le attività dell’associazione mafiosa e nel recuperare quei mafiosi che manifestano una disponibilità. Ci sono però alcune zone nelle quali l’azione antimafia non ha raggiunto il massimo livello”.
Ad esempio?
“Ad esempio sulla contiguità con i poteri economici e con quelli politici: su questo fronte, oltre a un problema di carattere legislativo ci sono anche problemi di ordine culturale”.
A cosa si riferisce?
“Penso al ricorrente sostegno dato a soggetti che hanno avuto rapporti con l’associazione mafiosa da parte di gruppi politici nonostante i tanti elementi emersi in campo giudiziario. Va bene, bisogna sempre aspettare la Cassazione, ma una valutazione politica si può trarre anche durante il processo. E poi penso all’azione giudiziaria stessa, che viene spesso delegittimata, indicata come un’emanazione della volontà politica”.
Un’ultima battuta su Riina: al “Corriere” chiede di essere lasciato in pace. Si pone un bivio: accogliere la sua richiesta, spegnendo i riflettori, o continuare a controllarlo, correndo il rischio di fargli da megafono? Lei, da magistrato, cosa consiglia a noi giornalisti?
“Io penso che per qualunque figlio di un esponente mafioso che abbia avuto procedimenti giudiziari il punto è verificare se vi sia una recidiva”.
Questo vale per voi magistrati. Ma noi? Dobbiamo mantenere alta l’attenzione?
“L’attenzione dev’essere puntata nel momento in cui un congiunto di un esponente mafioso decide di fare una scelta che si ponga in qualche modo in antitesi con l’operato del parente. Solo in quel caso c’è un elemento perché l’opinione pubblica debba essere informata di questi fenomeni, e del caso li incoraggi. Certo, nel momento in cui c’è la rivendicazione dei valori di un padre boss di prima grandezza…”.
Quindi dobbiamo accontentarlo?
“Non voglio entrare nel merito della posizione di Salvatore Riina. Voglio dire soltanto che per me, da un punto di vista culturale ed etico, una posizione diventa degna di essere sottoposta all’opinione pubblica solo se è espressione di una scelta alternativa. Altrimenti, forse, è meglio evitare”.