Ogni tanto spunta fuori la “questione morale”. A voi pare di averla messa definitivamente in archivio. Come avete fatto per la rosolia o il morbillo. Invece è lì. Quando ne sento parlare, provo un senso di tenerezza. Non ci pensi più per un periodo, ed eccola che ti prende di sorpresa. E’ una dinamica rassicurante. Sai che, seppure da qualche tempo la politica la osservi con un’attenzione minore, non ti sei perso niente d’importante. Puoi saltare qualche giro ed essere sempre in partita. Perché, prima o dopo, la vedrai galleggiare in qualche dichiarazione, sarà la conseguenza di indagini della magistratura oppure il risvolto di una lotta tra fazioni, l’una che la sventola sotto il naso dell’altra.
Ora, la domanda che LiveSicilia mi pone è la seguente. C’è una questione morale nel PD siciliano? E che ne so, verrebbe da rispondere. Facciamo gli esami e vediamo quanto è il valore. Nella direzione di ieri è stata al centro del dibattito. Una specie di autocertificazione di cui prendiamo atto. Alcune parole definitive, sull’argomento, le disse, trentadue anni addietro, un certo Enrico B. Era il 28 luglio 1981. “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.
Il rimpianto B., nato a Sassari e morto a Padova mentre si appassionava in un comizio, quel ragionamento lo incollava sulla biografia degli altri partiti politici, democristiani, laici, socialisti o socialdemocratici che fossero. Aveva le idee chiare. “I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità”. Rivendicava la differenza di passo del suo partito rispetto a quell’andazzo. “Ci spiace comunicarle, onorevole segretario B., che le cose sono andate in maniera diversa”. Con questo sintetico telegramma gli si potrebbe notificare che la storia, purtroppo per lui, e un po’ anche per noi, è andata diversamente. La questione (morale), per come la poneva B., non era qualcosa che si scopre, improvvisamente come la scarlattina, dopo qualche scandalo. Ma il modo d’essere (o di non essere) di un partito.
Scrive la palermitana Loredana Ilardi il 16 luglio a LiveSicilia: “Pensavo, da dirigente, di potere contribuire alla formazione della linea politica, ma mi sono trovata schiacciata in un correntismo ipocrita. Perché nel PD funziona così: le idee sono secondarie, si aderisce ad una corrente e poi ci si lascia trasportare, sgomitando solo per avere la meglio sulle altre tribù”. Questa, come diagnosticava all’inizio degli anni ottanta B, e come adesso sottolinea la dirigente siciliana uscita dal partito, è la questione morale. Che è sempre presente e che nessuno vuole combattere. Se non attribuendo all’altra corrente, o tribù, tutti i mali di questo mondo. E combattendo l’altra corrente, o tribù, utilizzando magari gli stessi strumenti. I singoli scandali che poi accadono non sono altro che dettagli. Arbusti che crescono in un sottobosco che ne predispone l’attecchimento e lo sviluppo. La questione morale, perciò, che non è certo del solo PD, anzi forse quel partito ne soffre sino a un certo punto, va risolta non nelle aule dei tribunali, né scandalizzandosi per questo o quel fatto. Ma tranciando di netto, con un lavoro quotidiano, le radici che la nutrono.
Riuscirà il partito democratico, nazionale e siciliano, visto che i due scenari sono legati indissolubilmente, a non essere la sommatoria di tanti appetiti di potere e a rispondere, senza arrotolarsi su se stesso, alle speranze che molti ripongono in esso? Ci sia consentito qualche dubbio. Senza che, però, ci si dimentichi dei tanti iscritti e dirigenti di base che vogliono e praticano una militanza politica di tutto rispetto. E senza scordarci che la brutta politica quasi sempre risponde ad una domanda malata che proviene dall’elettorato. Pezzi di quella società, cosiddetta civile, che magari tanto civile non è.