Si può discutere del fenomeno pubblico Gianfranco Micciché. Qualcuno lo troverà simpatico, altri esecrabile. Ma una cosa parrebbe assodata: siamo davanti a un politico che dice spesso la verità. Che poi possa piacere o non, è discorso diverso. Le parole sui raccomandati, pronunciate dal pulpito radiofonico della ‘Zanzara’ sono state di una chiarezza indigesta.
Eccole. “Una volta mi ha fatto impressione ascoltare Giancarlo Galan dire nelle sue tre legislature nessuno gli aveva chiesto una raccomandazione. Mi sono impressionato perché dalle nostre parti ti chiedono un posto di lavoro ogni secondo, stanno morendo di fame tutti”. Di seguito, la risposta a chi gli domandava se avesse mai raccomandato qualcuno: “Assolutamente sì, quando ho potuto farlo…, ma ho raccomandato soltanto gente disperata. In Sicilia c’è una quantità incredibile di gente che non campa e che ti chiede aiuti di tutti i tipi”. E’ appunto la verità scomoda (al netto di una probabile inesattezza sulla qualità dei prescelti. Davvero tutti poveri?), che si rifrange in altre seccanti verità. Proviamo a enumerarle.
La prima. Tutti i politici raccomandano o fingono di raccomandare. Non sappiamo nelle contrade di Galan. Qui, alle nostre latitudini, sicuramente sì. Non c’è politica senza segnalazione e viceversa. Il sistema clientelare rappresenta l’affare non emendabile. Servono porta-vivande nei quartieri. C’è chi distribuisce il vitto sotto forma di ricariche telefoniche o buoni di benzina. C’è chi tiene la sua porta costantemente aperta. Il pellegrino della speranza e dell’altrui carità sosta in preghiera, prima di essere ammesso all’anticamera, al cospetto di un tirapiedi dell’onnipotente, per narrare la sua pena e riceverne sollievo. La terapia raramente si traduce in un’azione concreta. Ai pellegrini occorre il lumicino di un conforto, un futuribile ‘vedremo’ per cui saranno disposti a sacrificare la libertà elettorale.
Non si sfugge alla messinscena. Le anticamere, i segretari, i cappelli in mano odorano di antico e di Democrazia Cristiana. Le modalità saranno in parte mutate, non l’approccio. La politica che si vede è un baratto alla luce del sole, sì nell’urna al netto di idee che convincono. Nessuno, tuttavia, diventa semi-potente in Sicilia senza la politica che si intravvede. La raccomandazione consente la circolazione ormai asfittica di opportunità. Il merito si configura come evento occasionale e marginale. Si arriva al lavoro (il lavoro vero, con almeno uno stipendio, se non un contratto) massimamente per benedizioni calate dall’alto.
Il costume regnava prima dell’avvento della Grande Crisi – siamo alla seconda verità – che l’ha soltanto acuito. Quasi tutti hanno trafficato con i politici che insultano. Lo hanno fatto per bisogno o perché volevano avere di più. Pochi sono coloro che hanno detto ‘io non ci sto’ e avrebbero dunque il giusto movente per risentirsi delle dichiarazioni di Micciché. Il resto ha consumato il pasto nella stessa greppia di amicizia e affinità con qualche nume tutelare. Poi, è stato scoperto il moralismo: l’ultima risorsa dei vigliacchi.
La terza verità ha forse il gusto più amaro e più di quanto non sembri. In un universo del genere, la politica è un luogo per gente disperata. Non si troverà in mille parlamenti qualcuno che sia amato e rispettato per ciò che è. La politica, nel suo fondo, si identifica con la negazione della sensibilità, del disinteresse e dell’amore: l’esatto contrario dell’illusione che tramanda.
Ed è così e sarà così, finché considereremo l’onorevole un bancomat di favori e gli elargiremo la finzione di un sorriso, finché un satrapo dovrà guardare la sua carta d’identità per ricordarsi il suo nome umano, finché il potere avrà cura di non sanare il bisogno che lo rende invincibile. Questo ci ha ricordato Gianfranco Micciché – vittima e carnefice – subendo l’immancabile lapidazione. La verità, tutta l’orribile verità, attira più sassi che applausi.