PALERMO – Non si può certamente dire che il presidente sia un tenero. L’affondo nei confronti degli aspiranti assessori della prossima giunta di governo, infatti, Rosario Crocetta lo sferra proprio nel giorno in cui molti di loro si trovavano con la “difesa bassa”. E con l’umore ancora più giù, dopo l’inchiesta che ha coinvolto una novantina tra attuali ed ex deputati. “Pensate che abbia fatto io l’inchiesta per levarmeli dai piedi?” Crocetta scherza in conferenza stampa. Si sente più forte. Lo è, in effetti, dopo l’approvazione della Finanzaria e dopo la bufera che ha investito l’Ars.
“Nessun indagato pensi di entrare in giunta”. La chisura è netta. E quella frase porta con sé una vera e propria sfilata di nomi “pesanti”. Assolutamente credibili tra quelli di una possibile, futura rosa di governo. E’ tutto lì, il contropiede del presidente.
Il tema del rimpasto, infatti, a causa del quale Crocetta era finito in un angolo a parare i colpi sferrati dagli alleati, subisce un vero e proprio “gavettone gelido”. Buono per sbollire aspirazioni e rivendicazioni che in realtà avrebbero dovuto trovare una risposta proprio in questi giorni. La questione del “rafforzamento politico della giunta” (locuzione più gradita a deputati e governatore) era stata infatti accantonata proprio in vista dell’esame della Finanziaria. Ma nei mesi scorsi – due, tre mesi fa, meglio non dimenticarlo – era stata al centro di una polemica accesissima. Con tanto di plateale fuoriuscita dalla maggioranza da parte del Pd. Il partito del presidente. Messo in un angolo, in quei giorni. “Sono stato offeso – ha detto ieri Crocetta – dal mio partito. E lasciato solo in un momento difficile”.
Ma la crisi è rientrata, appunto, sulla base della promessa di un rimpasto a gennaio. Un’ipotesi che adesso si allontana di nuovo. “Gli indagati non possono entrare in giunta”, ribadisce infatti Crocetta in conferenza stampa. Anzi, prende slancio dal momento difficile degli inquilini di Sala d’Ercole per prendersi qualche rivincita: “Se avessi ceduto alle pressioni dei partiti, durante la formazione della mia giunta – ha detto – avrei avuto la giunta più indagata d’Italia”. E così, porte chiuse ai politici coinvolti nell’inchiesta. Tagliati fuori, quindi, tra gli altri, Antonello Cracolici e Giuseppe Lupo, Lino Leanza, Marco Forzese, Nino Dina, Nicola D’Agostino e Giuseppe Picciolo. Tutti possibili nuovi assessori politici. Che assessori non saranno. Almeno a questo giro.
Anzi, l’indagine che ha investito Palazzo dei Normanni torna buona a Crocetta per sistemare due questioni. La prima è quella di chiudere all’ingresso dei politici in giunta anche per una questione “di principio”. Insomma, al di là degli indagati di ieri, il rimpasto politico, stando al Crocetta-pensiero, esporrebbe l’esecutivo a nuovi rischi giudiziari. Un’idea, a dire il vero, che cozza un po’ con la scelta del governatore di tenersi vicino assessori, alti burocrati e dirigenti generali che qualche guaio con la giustizia – penale e contabile – lo hanno o lo hanno avuto.
La seconda questione si lega alla prima. Crocetta andrà avanti con i tecnici. O con assessori, comunque, di fiducia. E la non eccessiva connotazione politica della giunta consentirà al governatore di giocare la partita delle larghe alleanze. Un contropiede nel contropiede. In qualche modo ribadito ieri, quando Crocetta ha infilato la litania dei ringraziamenti per il sostegno ottenuto sul tema precari: a Schifani e Vicari un grazie speciale.
Ringraziamenti che cozzano invece con gli attacchi al suo partito: “Che dice Renzi su questa inchiesta? Roma vuole continuare a guardarsi lo spettacolo?”. E ancora, “tanti attacchi a Davide Faraone? Se fossi stato io al suo posto sarebbe successo di tutto. Ma questo dovrebbe far riflettere il mio partito e spingerlo a prendere una posizione chiara. Il vero rottamatore sono io”
Ma il contropiede del presidente non interessa solo il suo partito. Anzi. Le frecciate oggi sono finite dritte al centro dello scudo crociato dei centristi di D’Alia. Frecciate avvelenate dal sarcasmo: “Durante l’esame della Finanziaria – ha detto Crocetta -ai deputati dell’Udc non funzionavano i tesserini. Davvero strano, visto che ad esempio ai parlamentari del centrodestra funzionavano perfettamente”. Non ha gradito, Crocetta. Non ha gradito l’ostilità mostrata dall’Udc, ad esempio, nei confronti della trattazione in Finanziaria della riforma delle partecipate. E sembra non abbia gradito nemmeno troppo la gestione dei lavori portata avanti da Giovanni Ardizzone.
Al di là dei rumors, però, il contropiede è partito anche nei confronti dei centristi. Tra i primi, a chiedere un rimpasto politico nei mesi scorsi: “Sugli atti importanti ho potuto constatare il supporto di metà del gruppo dell’Udc”. Le conseguenze? Anche in questo caso, tutte in una battuta: “Se dovessi usare il manuale Cencelli…”.
Una minaccia, quasi. Al partito che comunque vanta in giunta la presenza di tre assessori “in quota”. E che si prepara già al “muro contro muro” in vista delle prossime scadenze. Prima su tutte, quella che riguarda le Province. “La nostra posizione – ha detto il segretario regionale Giovanni Pistorio – è chiara: o si sopprimono davvero o noi voteremo contro”
Ma l’impressione è che adesso il governatore sia molto più forte di un paio di mesi fa. Crocetta è uscito dall’angolo dove era stato relegato dai partiti. Ha ottenuto da loro l’ok a una Finanziaria buona anche per sbandierare qualche norma-spot (vedi le coppie di fatto) e per rivendicare il sacrosanto risultato di avere scongiurato l’esercizio provvisorio. Ha vestito i panni del “temporeggiatore” con le nomine dei manager della Sanità, un argomento utile a tenere buoni e allineati molti esponenti dei partiti. E adesso, i partiti Crocetta può scaricarli allegramente. Con un sorriso. Anzi, con un ghigno sardonico e inquietante: “Pensate che abbia fatto io l’inchiesta per liquidarmeli?”.