PALERMO – La sfiducia a un governo che non c’è. È l’ultima follia in cui è piombata la Sicilia. L’ultimo paradosso, tra i paradossi. Oggi è il gran giorno della protesta a cinque stelle. Il giorno della rabbia, della contestazione. Il giorno in cui i grillini, guidati dal leader Beppe Grillo, grideranno al governo Crocetta di andare a casa. Ma quel governo, è già a casa. Così, ecco andare in scena una “sfiducia sulla fiducia”. Una sfiducia preventiva. Come dire: “Quello che verrà non sarà così diverso”. Un capogiro lungo quasi due anni, che fa apparire come un’era lontana e quasi immaginaria, quella del “Modello Sicilia”. Quando Rosario piaceva ai grillini e i grillini piacevano a Rosario.
Un giorno pazzo, questa domenica di fine ottobre. Che si prolungherà, fino alle prime ore del giorno dopo. Una scenografia ampia, una sequenza fatta da immagini, storie parallele. Beppe Grillo salterà sul palco ad attaccare il governo Crocetta, la casta, i deputati e i giornalisti. Poche ore dopo, a due passi da lì, il presidente della Regione incontrerà i partiti della maggioranza. Per chiudere la partita del rimpasto. Per dare alla Sicilia un governo già sfiduciato in partenza.
Una sfiducia che è allo stesso tempo effetto e causa di un rimpasto ancora tutto da fare. Una sfiducia che rappresenta solo l’atto nel quale si fondono tante piccole sfiducie. Quelle agli assessori Scilabra e Vancheri, innanzitutto, cancellate dagli ordini del giorno dell’Assemblea grazie alle manovre della maggioranza. Ma anche quelle rimaste solo sullo sfondo all’assessore Bruno e al collega Agnello. Censure che non arriveranno mai. Perché quegli assessori hanno già riempito gli scatoloni e abbandonato i propri uffici.
E così, la sfiducia a un governo che non c’è, rischia di tramutarsi in un passo di danza fuori tempo. Leggermente fuori tempo. Sentiremo, dal palco, le critiche sulla gestione della Formazione professionale che potrebbe non essere guidata più dalla Scilabra, quelle sulla gestione di acque e rifiuti che stanno per sfuggire dalle mani di Calleri (come già successe per Marino), sugli sportelli multifunzionali di cui non si occuperà più Bruno, delle società mangiasoldi che non saranno più un pensiero di Agnello. La sfiducia, insomma, che non è solo grillina, ma che riguarda l’intera opposizione, centrodestra (compatto) in prima fila, finirà per essere un j’accuse non a un governo, né a un pezzo di legislatura. Sarà l’atto d’accusa contro Rosario Crocetta. Un’accusa che si fonderà su un detto che suonerà familiare anche a un uomo di mare come il genovese Grillo: “Il pesce puzza dalla testa”. Ed è alla testa del governo, che finiranno per puntare oggi i parlamentari a cinque stelle, da domani tutti gli altri.
La location scelta, così, quella di Palazzo dei Normanni, finisce per avere un carattere sì, simbolico, ma leggermente “sfalsato” rispetto all’obiettivo. Sarebbe stata più congrua una manifestazione davanti al Palazzo d’Orleans, nelle ore della sera che anticipano i colloqui risolutivi di domani. Ma davanti il Parlamento, i grillini raccoglieranno le firme della gente arrivata lì per la protesta, per la contestazione. Una contestazione che finirà, verosimilmente, per abbracciare la “politica” in genere, oltre a tutto il resto.
Ma da domani, i Cinque stelle con quella politica dovranno dialogare. Le firme dei cittadini non accresceranno di molto le possibilità che la sfiducia passi davvero. Servono 46 voti. Servono 46 suicidi. Gente pronta a immolare carriere, potere, indennità per mandare a casa il governatore. In quaranta una firma l’hanno posta già. Sono i parlamentari di Forza Italia, Cantiere popolare, Ncd, Lista Musumeci, Mpa e Movimento cinque stelle appunto. Servono altri sei deputati-kamikaze. “Lanciamo un appello ai cuperliani del Pd”. Alcuni di loro, poche ore dopo, si siederanno di fronte al governatore. E in serata potrebbero uscire, finalmente riconciliati al governatore dopo settimane di liti fuoriose, con un nuovo governo. Quello sfidudiciato sulla fiducia. E fuori tempo massimo.