PALERMO- L’accusa regge. E anche in appello arriva una pioggia di condanne per una trentina di imputati. A cominciare da quella inflitta a Gianni Nicchi: 20 anni in continuazione con una precedente pena.
Da Pagliarelli a Porta Nuova, compreso il popolare quartiere del Borgo Vecchio. Nel luglio 2011 i carabinieri misero in ginocchio la mafia di una grossa fetta della città di Palermo. L’operazione Hybris del Reparto operativo e del Nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri ricostruì la rete del pizzo e la catena di connivenze che aveva protetto la latitanza di Nicchi. Mentre gli davano la caccia, il giovane boss alla guida della mandamento di Pagliarelli trascorreva le vacanze a San Vito Lo Capo e ad Amantea, in Calabria, in compagnia della fidanzata e del figlio.
Le indagini sulla latitanza del picciuteddu si intrecciarono con quelle sugli assetti del mandamento. In carcere finirono, innanzitutto, gli uomini che guidavano la cosca che inglobava le famiglie di Pagliarelli, Calatafimi, Borgo Molara e Rocca-Mezzo Monreale. L’elenco degli arrestati si apriva con Nicchi e proseguiva con quello di Michele Armanno che ne aveva preso il posto al vertice del clan. Ed ancora: Giovanni Tarantino e Giuseppe Bellino, proprietari di una pescheria in corso Calatafimi e di una tabaccheria al Villaggio Santa Rosalia, diventate base operative del clan; Luigi Giardina, cognato di Nicchi; Filippo Burgio, postino di Nicchi.
E poi, una sfilza di picciotti, più o meno giovani, che si occupavano soprattutto della raccolta del pizzo agli ordini di Michele Armanno. Uscito da poco dal carcere, dopo avere scontato una condanna per mafia, lo zio Michele si era rimesso subito in attività. I suoi uomini erano una macchina da soldi. La regola del pizzo era ferrea. I commercianti che pagavano e quelli che dovevano presto mettersi a posto erano indicati in un libro mastro delle estorsioni che lo stesso Armanno custodiva con cura. Venne fuori, ancora una volta, lo spaccato di un’economia mortificata dal racket. Una trentina le persone che pagavano la tassa di Cosa nostra, secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri Caterina Malagoli e Francesco Grassi.
Il 27 dicembre 2010, Armanno parlando con Maurizio Lareddola, suo braccio destro, di un esattore diceva: “… e come le deve incassare questo, queste cose? … Lui ci deve dare chiarimenti, quante ne ha ancora, quante non ne ha”. Nel corso della conversazione Armanno faceva riferimento al libro mastro e al rendiconto con cui confrontare le somme incassate :. “Io gli ho detto di fare tutto quello che, è li deve confrontare con quelli che ho scritto io”. Secondo Armano, alcuni negozianti mancavano all’appello: “… gli dici dammi le cose, e dimmi quante ne sono, no no no, quante no sono restate. Le hai fatte tutte? Lui ora vuole mettersi a picchiare. Mi sembra che la vedo moscia… io fiducia non ne do più a nessuno, parliamoci chiaro… Noi possiamo pure salire lo sai? Sono le cinque… guarda chi c’è, c’è questo qua, questo prima era… e all’epoca gli ho rotto le corna… Lui deve prendere i soldi del bar…del forno di là. Il crasto, il macellaio di qua, me l’ha portata. Cornuto, non mi ha detto dove è andato a prenderli, ora dobbiamo vedere se sono scritti in quelli… in queste cose. Qua ci è andato tre volte, da questo, ci è andato tre volte e non lo trovava mai. Dobbiamo vedere se ci è calato. Guarda che c’è qua… cose importanti”.
A volte capitava che i conti non tornassero: “… pensavo, io ho fuoriuscite, giusto è? Perché poi mi trovo sprovvisto” ed aggiungeva che in base ai suoi calcoli mancavano ancora alcune somme “perché vedo quelli che ci sono, quelli che sono scritti e dico minchia ma com’è che mancano soldi, mi hai capito?… domani, dobbiamo acchiappare a quello, il negoziante, quel carabiniere ci deve dare i soldi questa settimana… questo cornuto li, mi sembra che usciva un milione …inc… non mi ricordo…un milione, due milione … sono passati quindici anni… guarda dov’è l’animaletto. Minchia cosa da andarci e dire ma ancora non me li dai… ancora non me li dai cinquecento euro? E a momento viene, sta venendo Pasqua, che poi ci sono quelli di Pasqua e meglio che ce li dà adesso, hai capito?”.
Questo l’elenco degli imputati e le rispettive pene: Giovanni Vincenzo Nicchi (20 anni in continuazione con una precedente condanna), Michele Armanno (16 anni), Giovanni Adamo (10 anni e 4 mesi), Vincenzo Annatelli (6 anni e 8 mesi), Giuseppe Bellino (9 anni e 4 mesi anni), Antonino Bertolino (7 anni), Giovanni Castello (11 anni e 4 anni), Alessandro Costa (assolto, era difeso dagli avvocati Michele Giovinco e Domenico La Blasca), Salvatore D’Ambrogio (5 anni e 4 mesi. Difeso dagli avvocati Debora Speciale e Jimmy D’Azzo, in primo grado aveva avuto 8 anni), Luigi Giardina, cognato di Gianni Nicchi, (6 anni contro i 3 anni e 3 mesi del primo grado. Gli è stato contestato di nuovo il reato di associazione mafiosa inizialmente derubricato derubricato in favoreggiamento aggravato. L’elenco continua con Maurizio Lareddola (14 anni), Alessandro Longo (4 anni e 8 mesi), Gioacchino Martorana (9 anni), Salvatore Mirino (6 anni e 8 mesi), Mariano Morfino (6 anni e 8 mesi), Vincenzo Di Gaetano (10 anni), Alessandro Sansone (6 anni, era stato assolto), Giovanni Tarantino (6 anni e 8 mesi), Giampiero Scozzari (10 anni), Paolo Suleman (8 anni), Marcello Viviano (10 anni), Giuseppe Zizo (6 anni e 8 mesi), Filippo Burgio (9 anni, aveva avuto 3 anni e 8 mesi), Davide Pagliaro (1 anno), Francesco Russo (2 anni), Giuseppe Spatafora (assolto, difeso dall’avvocato Marcello Montalbano, è il titolare del cinema Marconi ed era accusato di favoreggiamento aggravato per non aver denunciato il pizzo), Simona Scalici (10 mesi contro i 3 anni e 8 mesi del primo grado. Accusata di traffico di stupefacenti, era difesa dagli avvocati Toni Palazzotto e Michele Palazzolo, ha avuto un considerevole sconto di pena sulla base della riforma della legge Fini-Giovanardi dichiarata incostituzionale. Ha ottenuto anche la sospensione condizionale della pena), Antonino Lo Sciuto (2 anni).