Il siciliano spiegato ai francesi| Ecco il dizionario online - Live Sicilia

Il siciliano spiegato ai francesi| Ecco il dizionario online

L'università di Nizza, a opera di un italiano, Arnaldo Moroldo, ha catalogato quasi tutti i termini siculi redigendo la monumentale opera di un dizionario siciliano-francese.

la curiosità
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E insomma, alla fine ni ficmimu canusciri.

Arrivarono i francesi e pretesero di capirci. A niautri, che a miegghiu parola è chidda ca nun si rici, ma quando ne diciamo una – mezza, meglio – ci costruiamo dentro questo mondo e quell’altro.

A noi che siamo dèi, e come gli dèi siamo capaci di mescolare una Pentecoste di lingue, mentre ci pare di conoscere un dialetto solo, perché le lingue dei dominatori, senza accorgerci, ce le siam fatte entrare sotto la pelle intanto che loro, i dominatori, continuavano a passarci intorno, e sopra, e dentro. Tutti hanno seminato qualcosa, tutti. Indistintamente: mattoni, facce e parole. Tutti quanti furono, l’universo mondo praticamente: il risultato è una Babele. Non c’è lingua più musicale di questa, e i francesi che pure parlando cantano, se ne devono essere accorti.

Il fatto è che all’università di Nizza – a opera di un italiano, Arnaldo Moroldo – si misero in testa di catalogare l’incatalogabile, redigendo la monumentale opera di un dizionario siciliano-francese. Come se già fosse semplice tentare di accordare – inopinata blasfemìa, cosa da guerra civile! – il palermitano con il catanese. O l’agrigentino col ragusano, sia mai.

Ci pensarono i francesi a farlo, il traduttore per uso di casa. Dal siciliano al francese, senza passare dal via, buttato nel mare magnum di internet. “Méridionalismes chez les auteurs italiens contemporains. Dictionnaire étymologique”, ovvero: “Meridionalismi negli autori italiani contemporanei. Dizionario etimologico” http://www.unice.fr/lirces/langues/real/dialectes/index.htm#Pour_consulter_le_dictionnaire:_. Lemmi e lessemi, con ricerca etimologica, esempi e pronuncia pure.

Noi, con calma e senz’ammuttari, il sito lo vediamo adesso. Adesso che, a occhio e croce, sono passati sei anni dalla pubblicazione se, come sembra dai testi citati, il terminus post quem ricavabile dalla data del più recente testo inserito tra le fonti non va oltre il 2009.

Neologismi ce n’è a tempesta (ma “a tempesta”, quello, non c’è: dev’essere troppo catanese), e quasi tutti si devono a un gigante come Camilleri che, senza dubbio, meriterebbe un dizionario tutto suo. Che ha creato tutta una neolingua, mescolando il siciliano in senso lato all’agrigentino e al palermitano, accarezzando però l’italiano in un modo tanto impercettibile e semplice che al lettore – e poi allo spettatore delle serie Rai – l’occhio scorre senza intoppi sulla pagina, pure se l’occhio appartiene a un triestino. Ma lui, lui è un miracolo. E però cu ci lu rici, e’ francisi, ca Camilleri è storia a parte?

La bibliografia è imponente, a suo modo: c’è Piccitto, linguista del secolo scorso che per l’Ateneo catanese aveva redatto uno dei primi tentativi di dizionario, c’è Consolo insieme a Sciascia – tutto- e Buttafuoco, con uno solo dei suoi libri, insieme all’opera omnia di Bufalino. La palermitana di Londra Agnello-Hornby insieme al catanese Cappellani; l’ormai storico Pitrè insieme al contemporaneissimo Alajmo. C’è il nostro Salvo Toscano, tra gli altri grandi citati nel dizionario, e c’è Sottile. Salvo, però. Cosi seri, serissimi.

Dev’essere un colpo di revanchismo, questo dizionario, una cosa della loro grandeur, uno studio sistematico e sistemico di ciò che loro, da Carlo d’Angiò in poi, ci hanno lasciato sulle labbra. Le etimologie latine abbondano, nel compendio, perché sono quelle che nobilitano la lingua nostra come la loro: la linea che va da cerasum a cirasa, passando per cerise, è ben tracciata, con l’esempio offerto dalla Torregrossa. Però, i francesi non ce ne vorranno, ma ne mancano di pezzi. Mancano i secoli. Mancano quelle parole arabe che nessuno sa di dire, e che pure diciamo. Quel çkis e quell’ iss che sputiamo ai gatti per scacciarli dai giardini, che sanno di magia ma che a nostra insaputa significano solo “esci” nella lingua di quelli che stanno di là dal mare. Mancano i fonemi non trascrivibili che ci hanno lasciato i greci. E alla e di Ebbica – pur fatta risalire al greco epokhè – manca la testimonianza di Rabito, analfabeta autore di un memoriale di mille e più pagine edite da Einaudi col titolo di Terramatta: epifania di una lingua personalissima trascritta “a orecchio”, più che un caso editoriale. Mancano i nostri modi di personalizzare l’inglese degli ultimi colonizzatori, gli americani che ci portarono le ciunghe, o le cingomme. Mancano i don e le donna spagnoli del rispetto araldico, poi passati al linguaggio delle cosche, ma nati nelle corti dei Vicerè, miniatura di quella corte iberica che ci fu madrepatria. Mancano, mancano i secoli.

Per approfondimenti seri, l’unica è ancora consultare la nonna. Glielo dovremo dire, ai francesi.

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