La medicina ha una strana parentela con le nostre paure. Non la invochiamo – in veste di convitato di pietra – per guarire davvero, ma per venire rassicurati. E saremmo disposti ad ascoltare una menzogna per un quarto d’ora in più di serenità, nell’illusione di essere immortali. La medicina cerca la strada per sanare il corpo a un caro prezzo: sottolineandone la fragilità. Ed è questa contestuale affermazione di finitezza a renderci odiosa ogni sua pillola. Eppure – come dice il professore Adelfio Elio Cardinale, un medico assai attento alla relazione umana – prevenire è già risolvere; pensare alle emergenze per tempo impone di affrontarle; affidarsi al dottore, quando indossa i panni di un uomo, significa riscoprire la ricchezza di un legame antico.
Professore, nel simposio scientifico di Erice sugli allarmi planetari più urgenti, un seminario è stato dedicato alla Sanità e lei lo ha sviscerato da relatore. Davvero si tratta di un’emergenza?
“Direi di sì. Viviamo in un mondo complesso, fatto di globalizzazioni e inedite criticità. Un universo che si omologa ma che, in certi casi, stenta a parlare un linguaggio comune. E noi dobbiamo costruire un sistema di tutela della salute all’altezza della sfida del tempo”.
Dove sta l’urgenza?
“Vede, questa è l’era della tecnica, della nano-tecnologia e anche del rischio di grandi epidemie, perché i virus mutano, sono insidiosi. Ci sono malattie diventate ormai croniche, altre possono essere in agguato. Per citare qualche fonte autorevole, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno calcolato che un ritorno di fiamma della Spagnola, che fu un biblico flagello, provocherebbe trentatré milioni di vittime nel primi duecentocinquanta giorni. Non si tratta di chiacchiere, ma di preoccupazioni condivise dal presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, e dal numero uno dell’Oms, Margareth Chan”.
Come si risponde a eventualità del genere?
“In due modi. Creando una medicina universale, che sia in grado di capitalizzare le specifiche conoscenze di ognuno e di ottenere le risorse per intervenire con celerità. E con una riscoperta del rapporto tra medico e paziente: un’arte antica che proprio la tecnologia ha contribuito a cancellare. Intendiamoci, il progresso è fondamentale per salvare delle vite. Ma niente potrà mai sostituire quella suprema alchimia diagnostica e terapeutica tra lo sguardo del paziente che spera e lo sguardo del dottore che rassicura. E’ lì che si pongono le premesse per sconfiggere il male. Diceva Ippocrate: dobbiamo consigliare il malato, guarirlo spesso e consolarlo sempre”.
Questa osservazione ci conduce su un terreno cruciale, alquanto scivoloso.
“E’ un punto fondamentale del percorso di cui stiamo parlando. Oggi abbiamo a che fare con un’alleanza infranta da tante variabili: dalla medicina difensiva, che porta i medici a effettuare esami solo per prevenire eventuali contestazioni, ad altre criticità. Gli elementi di rottura sono parecchi. Ecco il primo passo: ricostruire una relazione corretta tra medico e paziente”.
E poi?
“E poi c’è lo snodo centrale – come l’abbiamo affrontato a Erice –: avremo sempre più bisogno di una migliore preparazione, di un sistema sanitario solido e di una copertura universale”.
Guardando alla Sanità siciliana si resta un po’ scettici, specie sul raggiungimento del secondo obiettivo.
“Io sono fiducioso. Tutto si può costruire, basta volerlo. Oltretutto, dobbiamo imparare a essere razionali, per sfatare certa mitologia negativa e opprimente”.
Per esempio?
“Non è vero che i migranti portano atroci patologie. Sono praticamente auto-immunizzati”.
Spesso è il reticolo delle suggestioni a impedirci una visuale corretta.
“Per questo dico che bisogna riprendere le redini della medicina umana, proprio per affidarsi a qualcuno che sappia indirizzare, distinguendo la diceria dai fatti. Io me lo auguro. E auspico un’alleanza forte tra scienza e politica per il bene comune”.
Allora siamo perduti, professore..
“Speriamo di no”.