ROMA – Intesa raggiunta su un nuovo governo di unità nazionale in Libia. Dopo mesi di negoziati le delegazioni riunite in Marocco hanno raggiunto un accordo sulla lista dei nomi dei candidati alla guida del paese, che ora passerà al vaglio dei due governi rivali di Tobruk e Tripoli. A dare l’annuncio è stato in nottata l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Bernardino Leon. “Speriamo che questa lista di nomi possa avere il sostegno di tutti i libici. Questo governo avrà bisogno del sostegno di tutti i libici e sono sicuro che ci sarà anche molto supporto dalla comunità internazionale”.
Il premier proposto per il nuovo esecutivo di concordia è Fayez Serraj (originario di Tripoli), membro del Parlamento di Tobruk ma non nella lista dei designati da Tobruk. Ad occupare i posti di vicepremier Ahmed Maetiq (Misurata, ‘Parlamento’ di Tripoli), Moussa Kony (Sud, indipendente), Fathi Majbari (Est, sostenuto da Tobruk ma anche da Ajdabia e dall’Esercito libico), mentre tra i ministri figurano Mohamed Ammari (Tripoli) e Omar Al Assuad (Zintan). Esprimiamo “la nostra gioia perché c’è almeno una chance”, ha aggiunto Leon. “Troppi libici hanno perso la vita, troppi bambini e troppe madri sofferto. Secondo le agenzie Onu, circa 2,4 milioni sono in una grave situazione umanitaria. A tutti loro vanno le nostre scuse per non essere stati capaci di proporre prima questo governo”, ha aggiunto.
L’intesa raggiunta in nottata è un successo legato al ruolo dell’inviato dell’Onu, che è riuscito a portare a casa un risultato pochi giorni prima della scadenza del suo mandato e dopo mesi di lunghe ed intense trattative. Il lavoro diplomatico dell’inviato dell’Onu inizia infatti a settembre del 2014 quando viene incaricato Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per la Libia. Ma è nei primi mesi dell’anno in corso che iniziano le trattative vere e proprie. La strada appare tutta in salita, con numerosi annunci e smentite di accordi e mediazioni. Una prima bozza di intesa viene raggiunta a luglio, fra Tobruk, Misurata, Zintan e gran parte delle municipalità di Tripoli, ma senza il consenso del parlamento di Tripoli, che non firma l’accordo. A quel punto il pressing da parte della comunità internazionale su Tripoli si fa sempre più forte. Il 13 settembre i due governi rivali raggiungono una sorta di “consenso” sui principali punti. Il percorso a quel punto appare meno accidentato e si rinnovano le speranze più volte deluse. Ma nei giorni a venire la discussione si arena in particolare sui nomi di chi andrà ad occupare le posizioni di vertice nella nuova Libia. A inizio ottobre riprendono i negoziati in Marocco, ma diventa sempre più chiaro agli occhi di tutti che le posizioni fra le due ‘capitali’ libiche prendono strade sempre più opposte.
Leon rinnova i suoi aut-aut ed innesca un vero e proprio braccio di ferro con il Parlamento di Tripoli, che però prende tempo. Fino a stanotte con l’annuncio della lista del novo governo unitario. Un percorso accidentato pieno di intoppi che parte dal lontano 2011 dopo la rivoluzione e la morte di Muammar Gheddafi che fanno piombare la Libia nel caos più totale. Un anno dopo la caduta del regime ed in piena ricostruzione dopo le bombe della coalizione internazionale si svolgono le prime elezioni libere che conferiscono al Paese una prima vera svolta democratica. Ma gli scontri accesi e le violenze tra le varie milizie e gli ex ribelli che non hanno abbandonato le armi, complicano ulteriormente la situazione. Ma è nell’estate del 2014 che avviene il tracollo delle istituzioni, quando esplode la guerra tra le milizie di Zintan e di Misurata per il controllo di Tripoli. Il nuovo Parlamento eletto, insieme al governo del premier Abdullah al Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale, sono costretti a rifugiarsi ad est e ad insediarsi nella città di Tobruk, in Cirenaica. Nello stesso periodo la capitale cade sotto il controllo delle milizie filo-islamiche di Fajr Libya, che impongono un vero e proprio governo opposto a quello di Tobruk e legato ai Fratelli musulmani. Il risultato è un Paese spaccato in due con in mezzo, nell’area di Sirte, la presenza minacciosa dei jihadisti dell’Isis dove hanno imposto una sorta di emirato basato su una rigida interpretazione della sharia.