PALERMO . Il blitz antimafia della polizia porta in cella uno degli scarcerati eccellenti in circolazione. Salvatore Profeta, 66 anni, era uno degli ergastolani condannati ingiustamente per la strage Borsellino. “Vittima” del finto pentito Vincenzo Scarantino, fratello del cognato di Profeta. Uscito dal carcere nel 2011, dicono gli investigatori della Squadra Mobile, Profeta sarebbe tornato a comandare nel popolare rione della Guadagna. Persino la processione della Madonna aveva fatto una sosta davanti alla sua abitazione in segno di rispetto. E gli altri uomini d’onore lo baciavano sulla fronte come sigillo della sua superiorità. Assieme a lui sono state arrestate altre cinque persone, compresi il figlio Antonio e il nipote Rosario, Francesco Pedalino, Giuseppe Galati e Antonino Palumbo che si sarebbero occupati del controllo nella zona di via Oreto.
Secondo la ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Profeta avrebbe ripreso in mano le redini della famiglia della Guadagna, roccaforte storica dei traffici di droga, con influenze nell’intero mandamento di San Maria del Gesù. A lui, che prima dei fatto di via D’Amelio era già stato condannato per mafia, si dovrebbe la pianificazione delle estorsioni, ma anche l’organizzazione di alcune rapine per finanziare il clan. Sotto la sua reggenza la mafia sarebbe tornata ad avere un modus operandi arcaico, zeppo di riferimenti religiosi e tipico di quella mafia che Profeta aveva conosciuto prima di finire in carcere per la strage di via D’Amelio. Ed è scattato il blitz dei poliziotti guidati dal capo della Mobile Rodolfo Ruperti.
Lo sapevano tutti che Profeta era tornato a essere il capo, anche gli esponenti degli altri mandamenti della città. L’ergastolano di Porta Nuova Giovanni Di Giacomo ne parlava durante i colloqui in carcere con il fratello Giuseppe, reggente della famiglia di Palermo Centro fino a quando la sua ascesa fu arrestata con il piombo. Profeta sarebbe stato uno dei referenti principali con cui dialogare in una parte di città arroccata geograficamente e anche culturalmente. Una parte di città dove la gente viene ammazzata a pistolettate.
Era toccato anni fa a Giuseppe Calascibetta, che del mandamento era il reggente, pure lui tornato in libertà dopo una lunga condanna, ed è toccato di recente a Mirco Sciacchitano. Sciacchitano non era un boss, ma un piccolo criminale che si muoveva nel sottobosco della droga. Eppure è stato ucciso da un commando di killer, come si fa con i personaggi che contano. La sua morte doveva essere un segnale per tutti. I due delitti restano ancora irrisolti, ma ci sono spunti in più ora a disposizione dei pm Demontis, Malagoli e Mazzocco, coordinati dal procuratore Lo Voi e dell’aggiunto Agueci.