PALERMO – Saro va alla guerra. E c’è da fare gli scongiuri. Perché ogni guerra combattuta dal governatore rivoluzionario si è conclusa con una sonora sconfitta. Per lui. Ma soprattutto – dato forse più importante – per i siciliani. Adesso Crocetta va alla guerra sui rifiuti. Dopo aver calato la testa, ovviamente, al governo romano, accettando condizioni da sorvegliato speciale in cambio dell’ordinanza per gestire l’emergenza (la stessa emergenza che lui in tre anni non è riuscito a superare), adesso si arma e parte. Contro la legge sui rifiuti preparata dal suo assessore Contrafatto (che Crocetta vuole modificare), contro i sindaci, contro Roma che vuole due termovalorizzatori, mentre lui ne vuole cinque. È la guerra della munnizza. Che rischia di non fare prigionieri. E che ovviamente si abbatte sui siciliani, già circondati, in tante parti dell’Isola, dai cumuli di spazzatura.
Insomma, guerre combattute sulla pelle dei cittadini. Come è successo, del resto, in altri momenti. Basta un dato: le cosiddette “ex Province” siciliane sono ancora in mano a dei commissari “straordinari”. E arrendendosi di fronte all’impossibilità di spiegare al governo che l’aggettivo “straordinario” è semanticamente lontano da “permanente” (anche qui, basterebbe ricordare la dodicesima proroga di fila allo straordinarissimo commissario dell’Esa Francesco Calanna), resta davanti agli occhi il disastro lasciato da quest’altra guerra. Combattuta contro la legge Delrio, che avrebbe costretto il presidente a rimangiarsi clamorosamente l’annuncio affidato alle televisioni di mezzo mondo sull’epocale cancellazione delle Province. L’ostinazione di Crocetta nel non voler recepire quella legge si è tradotta, al di là appunto dei commissariamenti selvaggi (con ovvio invio di fedelissimi del governatore in tutta l’Isola), nel disastro di strade, scuole, servizi per i disabili. E anche dei conti dell’ente che non ha potuto partecipare – non esistendo dopo tre anni ancora una vera legge – alla suddivisone dei contributi statali. Alla fine, ovviamente, la guerra già persa dai siciliani a causa del capriccio di Crocetta, è stata persa dallo stesso presidente che ha dovuto ricopiare “in bella” la Delrio, un pezzo dopo l’altro. Fino alla resa definitiva formalizzata nell’accordo capestro sui 500 milioni, dove Crocetta si impegna a recepire “totalmente” la Delrio.
Una intesa “storica”, secondo Crocetta, che ha raccontato quella firma come se si fosse trattato di un grande successo, di una affermazione da appuntare sui libri di storia. E invece, mancava solo che la Sicilia concedesse lo ius primae noctis ai ministri di Renzi sul suolo siciliano. Per il resto, c’è il resoconto di una resa incondizionata: l’obbligo di applicare le norme nazionali, la rinuncia a ogni contenzionso con lo Stato e nuovi sanguinosi tagli per il futuro. E così, la sconfitta anche stavolta è dei siciliani, che per i prossimi anni (insieme ai debiti che Crocetta ha fatto crescere, come ha rilevato anche la Corte dei conti) dovranno pagare l’insipienza del governatore.
Un presidente che, evidentemente, non gode nemmeno del supporto di chi una mano dovrebbe dargliela. Ma evidentemente nessuno, tra i suoi consiglieri, è in grado di indirizzare un po’ di luce sul cammino zoppicante del presidente. Nessuno, a cominciare dalla plenipotenziaria riconfermata al vertice della burocrazia, Patrizia Monterosso, passando dal capo di gabinetto Giulio Guagliano, finendo con gli altri componenti del suo staff – in uffici dai quali negli anni è transitata più gente di quella passata dall’aeroporto di Punta Raisi – come il capo della segretaria tecnica Calogero Lo Dico, la stessa persona che ha portato avanti il faticoso e vano tentantivo di trovare un sostituto all’altezza della stessa Monterosso. Figure alle quali si aggiungono consulenti vari, dirigenti generali esterni (quindi con incarichi “fiduciari”), amministratori unici e presidenti di società regionali scelti con cura tra gli amici del presidente, oltre ai solerti Avvocati dello Stato.
Una truppa ben pagata dai siciliani, ma incapace di scongiurare strafalcioni ed errori segnati puntualmente, con matite rosse e blu, dal governo nazionale. Dagli appalti ai rifiuti, frutto di pesanti impugnative statali che Crocetta condivide con la maggioranza. Guerre perse, pure quelle. Insieme ad altre battaglie sulle quali il governatore ha cercato di “ritmare” questa disastrosa legislatura.
Sarebbe sufficiente ricordare la grottesca vicenda relativa al Muos, il radar americano sul quale il presidente aveva anche innestato un pezzo della sua campagna elettorale: prima “no”, poi “sì”, poi “forse”. I comici riferimenti alla vicenda Mattei, l’ingresso in campo di ambasciatori e ufficiali della Us Army. Alla fine è dovuto intervenire semplicemente il Tar per spiegare che il governo regionale aveva sbagliato tutto. E proprio per questo motivo era riuscito a fermare – inconsapevolmente – le autorizzazioni per l’antenna. Ma alla fine, anche su quel fronte Crocetta ha desistito. E la storia è andata avanti per conto suo.
Guerre perse, dicevamo come quella che Crocetta lanciò nei confronti dell’Eolico: fermissimo era stato il suo “no”, dopo le polemiche innescate da parte del Pd. Poi, dopo il veto, il presidente ha dimenticato di approvare la mappatura dell’Isola, facendo ripartire gli odiati impianti.
Sconfitte ovunque, insomma. Come è accaduto sul terreno dell’Irsap, ente difeso e voluto – soprattutto nella figura dell’ex presidente Cicero – dal governatore. Ente rimasto sulla carta avvelenata delle accuse, delle ombre, dei buchi di bilancio, di una riforma mai realmente compiuta. E guerra fu su Riscossione Sicilia. Crocetta – al di là della figura di Antonio Fiumefreddo – continua a difendere una società-simbolo per lui di quell’autonomismo che ha già svenduto a Roma. Una guerra per l’indipendenza della Sicilia, quella del governatore. Strapersa, ovviamente, come ha impietosamente raccontato la Corte dei conti: la società così com’è non funziona. E da anni i cittadini continuano a mettere dentro il bilancio dell’azienda milioni di euro. Perché in questo, almeno, Crocetta è un vero democratico. Un generoso, anzi. Le sue sconfitte ama condividerle con i siciliani.