PALERMO – Si sarebbero spinti fino all’autolesionismo pur di ottenere, così sostiene l’accusa, “riconoscimenti e benefici” dal ministero dell’Interno. Addirittura fino a spararsi una colpo di pistola, ferendosi di striscio al braccio.
È una brutta storie di presunte bugie e sparatorie inventate quella che ieri ha fatto scattare gli arresti domiciliari per l’ispettore Francesco Elia – sarebbe lui l’autolesionista – e l’assistente capo Alessandra Salamone. Gli vengono contestati i reati di calunnia, simulazione di reato e procurato allarme. Per colpa loro sarebbe piovuta addosso ad un giovane di etnia rom la pesante accusa di tentato omicidio. Roberto Milankovic è rimasto 59 giorni in carcere. Adesso gli contestano solo la resistenza a pubblico ufficiale.
Il 16 marzo dello scorso anno i due poliziotti avrebbero messo in scena una finta sparatoria nel quartiere palermitano dello Zen. Alle 18.24 del 16 marzo 2015 l’assistente Salamone contattò la centrale operativa: “… siamo dietro ad una macchina… vorremmo qualcuno, vorremmo ausilio, stiamo cerando di fermarla”. “Due macchine per favore”, aggiungeva l’ispettore Elia, indicando la zona: “… via Scordia che entra dentro lo Zen… via dell’Olimpo, via Scordia”.
Le frasi successive erano drammatiche: “… si sono fermati ad una cinquantina di metri e hanno sparato alcuni colpi contro di noi… noi siamo scesi dalla macchina e abbiamo sparato, questo è successo… era un’auto piccola grigia una Hyundai presumibilmente con due persone… una è scesa… ha sparato ed è risalita e sono scappati”. Tutto faceva pensare che si trattasse della macchina modello Atos rubata nel 2014 e utilizzata, come ricostruito dal commissariato San Lorenzo, per alcune rapine. Sarà la macchina a bordo della quale poche ore dopo la presunta sparatoria verrà fermato il rom, dopo un vano tentavo di fuga. Da qui l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Il ragazzo dirà di avere pagato l’auto 500 euro.
I poliziotti coordinati dal capo della Squadra mobile Rodolfo Ruperti hanno acquisito le immagini della telecamera del centro commerciale Conca d’oro e quelle scaricate dal satellite di Google. Gli agenti del commissariato San Lorenzo hanno sfruttato al meglio la conoscenza del territorio. Prima incongruenza: alle 18:15 fu registrato il passaggio della macchina della polizia preceduta da un furgone Fiat Doblò e da una Bmw. Non c’è traccia della Hyundai Atos. Nel corso del secondo interrogatorio i due poliziotti, a differenza della prima ricostruzione, non esclusero che la macchina potesse essersi immessa in una stradina privata per poi giungere all’incrocio tra le vie San Nicola e Rocky Marciano dove avvenne il presunto conflitto a fuoco. Tesi smentita dagli investigatori anche attraverso l’analisi delle carte topografiche. E poi, dal passaggio della macchina ripreso dalla telecamera alla telefonata alla sala operativa trascorsero nove minuti. Eppure, dicono gli investigatori, si tratta di poche centinaia di metri. Perché questo buco di nove minuti? “È passato molto meno tempo”, si sono difesi i due poliziotti.
Infine c’è la perizia. “Si sono fermati ad una cinquantina di metri e hanno sparato alcuni colpi verso di noi”, aveva detto Elia ai colleghi della sala operativa. Un colpo si conficcò nel cofano della macchina. Il pubblico ministero Maurizio Bonaccorso ha nominato un consulente tecnico – Glauco Angeletti, archeologo ed esperto di armi – il quale ha concluso che “la distanza tra lo sparatore e l’auto è tra i 6 gli 8 metri”. Ed ancora, dicono gli investigatori, nella Atos non ci sono fori. Né tracce di sangue nonostante l’ispettore Elia avesse riferito del probabile ferimento di uno dei due responsabili dell’agguato. I fori sul muro che, secondo i poliziotti, erano stati provocati dagli spari dei dei due uomini a bordo della Atos, in realtà sono vecchi di chissà quanto.
Il caso, però, è tutt’altro che chiuso a giudicare dalle parole del difensore dei due poliziotti, l’avvocato Antonino Zanghì, che ha pronta una controperizia di parte: “Si tratta di una consulenza priva di qualsiasi carattere scientifico, fatta da una persona che si occupa di armi antiche. Il proiettile è stato sparato da almeno 15-20 metri. Una distanza compatibile con la versione dei miei assistiti, inoltre non è possibile che Elia si sia sparato causandosi una ferita come quella che aveva sul braccio”. Della perizia non convincono alcuni punti in particolare. Ad esempio, quando si ipotizza che l’uomo che ha fatto fuoco abbia un’altezza “tra il metro e 65 e il metro e 85”. Troppo scarto per essere precisa, sostiene il legale, secondo cui “la misura cautelare è sproporzionata”. Non secondo il gip, Mario Pino che scrive: “Il pericolo di reiterazione criminosa è grave ed è attuale”, nonostante sia già trascorso parecchio tempo dalla messinscena che i due poliziotti avrebbero spacciato per un agguato.