PALERMO – Simboli dell’antimafia giudiziaria al fianco di un governatore indagato per mafia. Aspiranti moralizzatori scivolati sulla più classica delle parentopoli. Vedette degli eterni processi sui rapporti tra Stato e Cosa nostra accucciate sul più classico e tiepido divano del sottogoverno. Ai magistrati, ad alcuni almeno, piace la politica. Ma spesso i risultati sono deludenti. In qualche caso persino imbarazzanti.
Non solo a Roma, quindi, le carriere politico-amministrative delle toghe finiscono per tramutarsi in flop. Nella Capitale è ancora fortissima l’eco degli addii (più o meno forzati, indotti) alla Raggi del capo di gabinetto Carla Rainieri, magistrato della Corte dei conti, e dell’assessore al bilancio Marcello Minenna. Chi ha sostituito quest’ultimo, il magistrato Raffaele De Dominicis, è già al centro delle polemiche sull’origine di quella nomina.
Il travaso, insomma, non sempre funziona. Anzi, spesso ti accorgi che la figura che doveva rappresentare una “garanzia” per l’amministrazione, non è immune dalle solite grane. L’ultimo pm prestato a un governo regionale, tutt’ora in carica, è Vania Contrafatto. E la storia dell’assessore regionale all’Energia è quella di un amministratore stritolato nella guerra costante tra il suo “sponsor” in giunta Davide Faraone e lo stesso governatore Rosario Crocetta. E Vania sta lì, ai quattro venti delle polemiche che sanno ormai di campagna elettorale. A dire il vero, qualche dubbio sull’opportunità della “discesa in campo” della Contrafatto era sorto fin da subito. In una nota che non faceva esplicitamente riferimento al neo assessore di Crocetta, le giunte distrettuali dell’Anm di Palermo, Catania, Messina e Caltanissetta avevano parlato della necessità di una “riflessione sul tema della partecipazione dei magistrati alla politica attiva”. Un impegno che apriva alla “mera possibilità di offuscamento dell’imparzialità del magistrato”. E critico era stato anche l’allora reggente della Procura di Palermo, Leonardo Agueci. La Contrafatto però è rimasta al suo posto. Una poltrona non proprio comoda. Troppe le tensioni, le polemiche, gli scontri su un tema delicato come quello dei rifiuti, dell’acqua, dei termovalorizzatori.
Eppure, non si sa come e non si sa perché, in quel settore sembra sia necessaria la presenza di un ex pm. A inizio legislatura era stato il turno di Nicolò Marino, cacciato dalla giunta al termine di una furiosa polemica sulle presunte ingerenze della Confindustria siciliana nell’attività di governo. A dire il vero, il risultato delle parole di Marino è stato una indagine poi archiviata sul titolare della discarica di Siculiana Giuseppe Catanzaro e la denuncia di quest’ultimo all’ex pm per diffamazione. Al netto di questa querelle, poco resta dell’attività di Marino in giunta. Molto più materiale, al momento, è rinvenibile nei colloqui finora comunque infruttuosi in Commissione antimafia. L’avventura in politica dell’ex pm si è rivelata – al momento – poco più che un flop.
Ancora più clamoroso, invece, l’insuccesso di un altro collega. Sia per l’ambizione cullata, sia per il nome. Ma la “Rivoluzione civile” che avrebbe dovuto portare Antonio Ingroia sulla poltrona di premier si è sgonfiata presto, e così, dopo aver dribblato una nomina in Val d’Aosta e dopo l’effimera parentesi guatemalteca, il pm-simbolo del processo sulla Trattativa Stato-Mafia si è accontentato, come è stato in passato per altri “politici trombati”, di un semplice – nonostante la luccicante confezione nella quale Crocetta ha provato a incartare quella decisione – incarico di sottogoverno a Sicilia e-servizi. Ma il “tono” da ex pm non è sparito, nonostante la nuova dimensione dell’incarico di Ingroia. Il pm che scrisse “Io so”, non ha riposto nell’armadio, ancora, i toni e i modi da inquisitore. Che non hanno risparmiato anche alcuni colleghi. Per ultimo, il pm della Corte dei conti Gianluca Albo, “colpevole” di avere aperto una inchiesta (ancora in corso, mentre è stata archiviata quella penale) sulle assunzioni nella società partecipata guidata da Ingroia.
E non è andata poi benissimo a un altro pm dei processi alla mafia. Massimo Russo, per Raffaele Lombardo, era una “garanzia di legalità”. Non a caso, Russo fu nominato al vertice del caldissimo (e in quegli anni post-Cuffaro, ancora più caldo) assessorato della Sanità. Ma anche per Russo non sono mancati problemi e accuse. A cominciare dagli scivoloni riguardanti i concorsi nella Sanità siciliana, i dubbi sugli accreditamenti selvaggi ai convenzionati catanesi, passando per le costosissime convenzioni con i giganti Bambin Gesù e Rizzoli e finendo con qualche nomina “poco riuscita”, come quella dell’ex pm – ci risiamo – Salvatore Cirignotta, finito sotto inchiesta per la vicenda dei “pannoloni”. Ma Russo, in quegli anni, cullava anche ambizioni politiche. Doveva essere lui a prendere in mano il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo di cui fu vicepresidente della Regione proprio negli ultimi mesi. Lui, pm antimafia a sostegno del governatore costretto alle dimissioni anticipate a causa di una inchiesta per concorso esterno a Cosa nostra. Ci provò, Russo, a entrare ufficialmente in politica, attraverso il test delle Comunali di Palermo. La sua lista, messa su insieme all’ex collega Gaetano Armao e all’attuale deputato autonomista Giovanni Greco, però, non riuscì a conquistare nemmeno un seggio a Sala delle Lapidi. Messa nel cassetto la politica, Russo è tornato a lavorare in magistratura, a Napoli.
È stata assai più breve l’esperienza in quel governo di un suo “doppio collega” (magistrato-assessore). Giovanni Ilarda era giunto nell’Isola per mettere a dieta la Regione, a cominciare dal numero dei dipendenti. Ma qualcuno, dopo un po’, si accorse che lo stesso assessore aveva fatto assumere la figlia all’interno dell’ufficio di gabinetto dell’allora collega in giunta Antonello Antinoro. Un incarico da 75 mila euro lordi annui, affidato per chiamata diretta. Dopo la bufera, la ventisettenne figlia dell’assessore ha dovuto lasciare l’incarico. Ma l’immagine del “moralizzatore” Ilarda era ormai definitivamente compromessa.
Fu una strada crollata, invece, a mettere fine alla passeggiata di Ettore Leotta dentro la giunta di Crocetta. Il magistrato in pensione, chiamato nel governo in quota Udc, decise di gettare la spugna per motivi di… viabilità. Era da poco franato il viadotto Himera sull’autostrada Palermo-Catania, e per Leotta, originario di Siracusa, gli spostamenti quotidiani (o quasi) comportavano troppa fatica. Quanto è dura la strada dei giudici in politica…
Tra tanti flop, ecco un “travaso” di successo. A dire il vero, l’avventura politico-amministrativa di Caterina Chinnici non è stata del tutto serena. A cominciare proprio dall’indagine per mafia su Raffaele Lombardo, il “suo” governatore. Lei, figlia di Rocco Chinnici, ricevette, a causa di quell’esperienza nel governo regionale, un feroce attacco da Rosario Crocetta durante la direzione del Pd che avrebbe dovuto scegliere i candidati dem per le elezioni europee. Il Pd ignorò le accuse del presidente gelese e candidò Caterina Chinnici che riuscirà a conquistare una valanga di voti. Adesso si fa il suo nome anche per la prossima corsa alla presidenza della Regione. Del resto, la storia insegna: un magistrato è sempre una garanzia.