PALERMO – In quei giorni il sindaco di Gela è Rosario Crocetta. Otto anni fa Comune da lui guidato decide di estromettere un’azienda chiamata a partecipare ai lavori per il Teatro Eschilo. Quella società era stata appena colpita da una informativa antimafia della Prefettura. Apriti cielo. Crocetta ovviamente non perde tempo. Ma in questo caso, il suo furore legalitario finisce per provocare un pasticcio. E un danno, anche economico. Perché nel frattempo, le altre società coinvolte nell’appalto insieme a quella “sospetta”, propongono la sostituzione della ditta “in odor di mafia” con una ditta “pulita”, come previsto dalla legge. Ma Crocetta fa il duro. E il Comune dice di no: “Tutti fuori”.
Peccato che quelle società “sane” e ingiustamente estromesse dall’appalto si siano rivolte alla legge. E il tribunale amministrativo di Palermo pochi giorni fa ha dato loro ragione: non dovevano essere cacciate dall’appalto. A loro, adesso, il Comune di Gela dovrà riconoscere centinaia di migliaia di euro. Era stato gettato, con l’acqua sporca, anche il bambino. E a pagare saranno i gelesi.
Effetti collaterali, si dirà. Specie quando l’antimafia è soprattutto sbandierata, mostrata come fosse il simbolo di una virtù inviolabile e condivisa con pochi. Peccato però che poi, vai a guardare cosa resti oggi dell’antimafia di Crocetta – non quella enunciata, ma quella che si incaglia nelle cose reali – e scopri che tutto si è ridotto in polvere. O, meglio, nel dissolversi di una bolla.
Prendi ad esempio la stessa autobiografia del governatore. C’è un intero capitolo intitolato: “Compagni di viaggio”. Chi sono i compagni di viaggio di Crocetta? Lo spiega il resto del titolo: “Montante,Venturi, Lo Bello e gli altri”. Tralasciando gli altri, cosa resta di quei compagni di viaggio, quelli con cui Crocetta avrebbe lanciato, da Gela e Caltanissetta una “rivolta” contro la mafia?
Per il presidente di Confindustria Sicilia una accusa infamante, sebbene tutta da dimostrare. Per Lo Bello qualche recente “grana giudiziaria”: indagato per associazione a delinquere e traffico di influenze illecite nell’ambito del filone siciliano dell’inchiesta sul Centro oli di Viggiano. Mentre l’ex assessore di Lombardo ha cambiato strada e ha puntato il dito proprio contro Crocetta: “Ha avanzato richieste indicibili”. Quali? Se ne starebbe occupando la Procura.
Le richieste in particolare sarebbero state avanzate ad Alfonso Cicero, ex commissario dell’Irsap. E lì cadi dalla sedia. Perché proprio sulla figura di Cicero, Crocetta aveva puntellato un po’ della sua antimafia di governo: era lui l’esempio della lotta del bene contro il male, della legalità contro la mafia. Ne era così convinto, Crocetta, da lanciare persino un aut aut ai giornalisti: “O si sta dalla parte di Cicero o si sta dalla parte della mafia”. Come è finita? Cicero ha denunciato Crocetta. E Crocetta ha annunciato una querela nei confronti di Cicero. E l’antimafia? La legalità? Finisci per non capirne più niente. Anche di fronte alla scelta dello stesso governo di nominare, a capo di alcuni Consorzi Asi, proprio i dirigenti che da Cicero erano stati denunciati.
Serve una bussola, per orientarsi. Perché nel cangiante mondo dell’antimafia crocettiana, nulla è per sempre. Tutto muta, svanisce, si perde nelle chiacchiere e nel tempo, con la speranza forse che le stesse parole siano prima o poi dimenticate. Che fine hanno fatto, ad esempio, quelle nei confronti del magistrato Nicolò Marino? Crocetta ha atteso per giorni, subito dopo la sua vittoria elettorale, quel baluardo di legalità che portava con sé le stimmate dei “processi antimafia”. Quale miglior sostegno a un governo che su quella impostura stava provando a sorreggersi, forse consapevole dei propri limiti amministrativi? Ovviamente, anche questo idillio finirà presto e male. Tra polemiche furenti e l’accusa del pubblico ministero: “L’antimafia di Crocetta è fasulla”.
Se lo sia davvero, non è facile dirlo. Ma si potrebbe chiedere, ad esempio, all’altro “santino” dell’antimafia che Crocetta ha deciso di piazzare sul cruscotto del suo rivoluzionario abitacolo, fin dal primo giorno. Peccato che anche Lucia Borsellino, alla fine, abbia preso le distanze da Crocetta e dal suo modo di governare, dal presidente e dalla sua antimafia chiassosa. “Vado via per ragioni di ordine etico e morale”, dirà sbattendo la porta della giunta. Una bordata che in tanti hanno volutamente archiviato in fretta. Parole durissime per chi di parole, in quegli anni, non ne aveva spese poi molte.
Svanisce tutto a poco a poco, insomma. E l’Antimafia di Crocetta è una foresta di contraddizioni. Mentre infatti sceglie come compagno di viaggio Venturi, ex assessore di Lombardo, punta il dito contro Caterina Chinnici, durante una direzione nazionale del Pd, proprio per la sua esperienza nella giunta del governatore di Grammichele: “Qui dobbiamo capire il Pd cosa vuole fare, sul tema della mafia e dell’antimafia” disse in sostanza.
Peccato che proprio le categorie dell’antimafia crocettiana cambino, mutino col vento. Così come è cambiato il vento delle sue sortite in Procura, spettacolari e frequenti dal suo insediamento, assai più sporadiche nella seconda parte della legisaltura. Anche perché, probabilmente, il bluff è chiaro a tutti. È chiaro, ad esempio, che non basta essere un “presidente della fondazione Caponnetto” per rappresentare una garanzia di competenza nel settore dell’Energia, dei rifiuti e dell’acqua. Anche Salvatore Callari uscirà presto dai radar, per riposizionarsi nell’elenco dei consulenti personali del presidente. Gli stessi consulenti i cui risultati sono ignoti ai più. Ma qui l’antimafia non c’entra.
C’entra invece, nella nomina di Sonia Alfano a capo di qualche ente di sottogoverno, di Antonio Ingroia alla Provincia di Trapani per dare la caccia a Messina Denaro e a Sicilia e-servizi per cacciare la parente innocente e incensurata di un mafioso, di Valeria Grasso alla Fondazione orchestra sinfonica e poi tra i testimoni di giustizia, persino quella di Tano Grasso che alla Regione però non arriverà mai. Perché dopo l’annuncio, bisogna anche saper fare. E oggi a Crocetta è rimasta in mano qualche figurina sbiadita. Qualche bel ricordo. E una mafia da andare a cercare tra i pochi delinquenti confusi tra ventimila forestali, tra le truppe del precariato storico, o tra i campi e le montagne di una Sicilia vittima certamente della mafia. Ma a volte, come successe a Gela otto anni, anche dell’antimafia.