PALERMO – “Io avevo una persona che vuole collaborare con te, pulita, bella sistemata… e gli si devono aprire i conti di sana pianta, lui ha i requisiti di tutte cose”. A parlare così era Giuseppe D’Accardi, considerato la mente della truffa degli assegni.
Ufficialmente vendeva caffè in un negozio di via Bara all’Olivella, a Palermo, in realtà D’Accardi sarebbe stato la mente della banda. Era lui, secondo i carabinieri del gruppo di Monreale, a procacciare le persone disposte per poche decine di euro ad accollarsi di aprire conti bancari e a consegnare carnet di assegni con cui fare acquisti in giro per la provincia di Palermo. Peccato, però, che i titoli di pagamento sarebbero poi risultati senza alcuna copertura finanziaria.
A completare il quadro accusatorio sono state le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Giuseppe Micalizzi e Salvatore Lo Piparo. Il primo faceva parte della manovalanza di Cosa nostra a Monreale. Il secondo, Lo Piparo, era un uomo del racket nella zona di Bagheria.
Secondo i pm Renza Cescon e Daniele Sansone, esisteva un “mercato parallelo e sommerso” di assegni bancari. Giuseppe D’Accardi, Giuseppe Meli e Vincenzo Infantino sono finiti agli arresti domiciliari. Il provvedimento è stato notificato in carcere ad Antonino Scaglia. Per altri tre indagati – Riccardo Serio, Marina Currò e Angela Biondo – accusati di ricettazione, è scattato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Gli indagati, però, sono molti di più. D’Accardi si sarebbe servito della collaborazione di Antonio Cirà, Giovanni Sgarlato e Antonio Scaglia, pronti ad autoaccusarsi di reati che non avevano commesso. In cambio di poche decine di euro si accollavano la responsabilità: “Gentile quello sbirro… aspetto che mi vengono a fare l’interrogatorio – diceva Scaglia – perciò io vedi mi metto a disposizione di una cosa…. perché mi vado a prendere la recidiva”. D’Accardi parlava con Scaglia della ricompensa: “… dice che la ricarica (con il sistema postpay) ti è arrivata… 50 euro…”. “… mi hai dato centodieci euro e mi hai fatto buttare il sangue”, replicava Scaglia.
Quando qualcuno di loro finiva nei guai D’Accardi non faceva mantenere il suo aiuto alla famiglai: “… gli ho scritto che lei mi comra i medicinali – una donna riferiva il contenuto della lettera inviata al marito in carcere – che lei mi porta da mangiare, la frutta, le sigarette…”.
Poi, c’era il piccolo esercito di coloro che avrebbero procacciato gli assegni (uno regolare valeva 200 euro, per uno rubato la cifra scendeva a 50) per poi truffare i commercianti che li ricevevano in pagamento: Giuseppe Meli, Vincenzo Infantino, Francesco Vassallo, Salvatore Lo Piparo, Giuseppe Micalizzi, Fabio La Barbera, Agostino Santo Canale, Giuseppe Castelli, Marina Currò, Francesco Ferrante, Giovanni Geraci, Riccardo Serio, Angela Biondo, Antonio Iervolino, Marco Marorana, Michelangelo Lesto, Domenico Rigano, Angelo Riccobono, Alessandro Nocera, Eugenio Rosario Rizzuto, Paolino Cavallaro, Domenico Siciliano, Saverio Giunta. La Barbera, Castelli e Canale avrebbero garantito “i canali di approvvigionamento”, mentre Giunta avrebbe falsificato i documenti che servivano per gabbare le banche.