PALERMO – “Nostro padre è stato lasciato da solo quando era vivo ed è stato già dimenticato anche da morto”. La loro voce è tremante, rivela un senso di abbandono che le sconforta. Sono le figlie di Marcello Cimino, l’uomo che la notte del 10 marzo è stato bruciato vivo mentre dormiva davanti alla mensa dei Cappuccini.
“E’ vero – raccontano – aveva deciso di vivere per strada, ma per noi era sempre il nostro papà e non abbiamo mai smesso di amarlo. Ci manca tantissimo, sentiamo la sua assenza ogni giorno. Le istituzioni hanno lasciato da sole noi e nostra madre e intorno alla vicenda c’è adesso soltanto il silenzio più assordante”.
L’ex moglie di Cimino e le sue figlie, assistite dall’avvocato Toni Palazzotto, raccontano tra le lacrime venti giorni di dolore: “L’attenzione iniziale su quanto accaduto è improvvisamente svanita – dice la signora Jolanda -. Adesso ci sentiamo abbandonate, il ciclone che ci ha travolto i primi giorni si è trasformato nel totale disinteresse nei nostri confronti. Basti pensare che ci viene impedito di lasciare anche solo un fiore sul luogo in cui Marcello è stato ucciso. Marcello era stato isolato, adesso lo è anche la sua famiglia”.
Le due ragazze ricordano il padre come un uomo disponibile, scherzoso, disposto ad arrangiarsi con mille lavoretti saltuari per portare un po’ di spiccioli a casa. “Quando non è riuscito più a trovare nulla da fare – dicono – sono cominciati i problemi. Nostro padre ad un certo punto ha avuto tutte le porte chiuse in faccia”. “Ho scritto una lettera il giorno dopo la sua morte – aggiunge la figlia più piccola – dedicata a lui. Erano parole scritte col cuore, ma questo foglio che avevo appeso davanti alla mensa, dove prima c’erano pure dei fiori, è sparito e i responsabili della struttura non sanno dove sia finito. E’ quello il posto dove nostro padre ha trascorso i suoi ultimi giorni ed ha fatto un fine terribile, ma tutti sembrano averlo dimenticato. L’amministrazione comunale ci aveva anche detto che sarebbe stata collocata una targhetta lì, ma non siamo mai state contattate da nessuno”.
Jolanda e le sue figlie lanciano anche un appello e chiedono giustizia: “Non vogliamo che la città dimentichi quello che è successo, perché episodi del genere non devono ripetersi. Su questa storia deve venire fuori la verità, siamo convinte che chi l’ha ucciso ed ha confessato non ha agito da solo. Ci sono stati dei complici. E poi – concludono le figlie di Cimino – c’è un altro aspetto che ci ferisce molto. Coloro che trascorrevano il tempo con nostro padre, non si fanno più vedere alla missione, sembrano scomparsi. In particolare, non abbiamo più incontrato un uomo che dormiva nello stesso luogo e che su quella maledetta notte potrebbe dirci di più. Ha preso le distanze anche lui, siamo state lasciate da sole. Da sole con la speranza che nostro padre abbia davvero giustizia”.