PALERMO – “… è venuta una spiata un pomeriggio a casa. Benedetto già era latitante. Mi disse: fratello domani mattina ci ricevono… sette mandati di cattura, ci siamo tutti e tre fratelli… io intenzione di farmi arrestare non ne ho… penso che tu lo stesso”. Fu Benedetto Graviano ad avere la soffiata e a passarla ai fratelli Giuseppe e Filippo, boss stragisti di Brancaccio.
All’inizio scapparono “in montagna… fornellini, tutte cose, zainetti”. Poi, sarebbero seguiti quatto anni di latitanza e bella vita in giro per l’Italia. Fino all’arresto nel gennaio 1994. Di tanto in tanto, però, tornavano in Sicilia, a Palermo. È lo stesso Giuseppe Graviano a rivelarlo nelle conversazioni intercettate in carcere con il compagno di passeggiata, il camorrista Giuseppe Adinolfi. Sapeva di essere intercettato. Chissà se il boss raccontava le gesta di una latitanza romanzata e fantastica per impressionare il suo interlocutore. O se davvero era in grado di sfidare tutto e tutti. A cominciare da coloro che gli davano la caccia.
Il mandante dell’omicidio di don Pino Puglisi si faceva beffa dei controlli. Come quella volta in cui, racconta, “io mi trovavo in treno… il Milano Palermo… prendevamo il vagone letto mi sono spiegato? Eravamo a Milano… avevamo la televisione piccola… quella che si mette la batteria… non so se te la ricordi… e prendevamo gli scompartimenti… eravamo sempre io, mio fratello, mia cognata… prendevamo… stavamo… poi la sera ognuno si chiudeva per i fatti suoi”. Mica erano in apprensione: “Veniva poi… il capo vagone… perché venivano a fare i letti e… tranquillo…la cena… eravamo uniti tutti e quattro… poi quello ci portava il caffè… lo sai che fanno il caffè espresso nel vagone letto… e scendevo a Termini Imerese”.
Qui ad aspettarlo c’erano i suoi uomini fidati: “… mi venivano a prendere. Però mi venivano a prendere con la staffetta sempre. Una macchina avanti, la seconda e poi… all’altezza, tutti gli svincoli, cose… poi quando esco a Brancaccio, perché uscivo a Brancaccio… trovavo sempre a quelli pronti negli svincoli. Trovavo diverse macchine che erano pronti che mi aspettavano sia nello svincolo, perché c’è l’uscita porto… che si va a Brancaccio… ti porta pure al porto… vedevano se c’era… quelli.. nella strada li andavo lasciando a tutti e alla fine rimanevo… di solito… arrivavo… al porto… dovevano aprire… scendevano nello scantinato che era il posteggio delle macchine”.
Qualche giorno a Palermo e poi di nuovo in fuga. In Versilia, a Sirmione o in Sardegna, fino al giorno dell’arresto.