PALERMO – Francesco Chiarello si presentò nella rivendita di moto e officina meccanica di via Benedetto Gravina per riscuotere il pizzo. E avrebbe ricevuto una risposta tranciante da Fabio D’Alia: l’attività era in realtà di Tommaso Lo Presti. Una ricostruzione contenuta in uno dei verbali di Chiarello che nel frattempo è divenuto collaboratore di giustizia.
L’officina “Moto performance”, molto nota fra gli amanti delle due ruote, non lontano dal Borgo Vecchio, è finita sotto sequestro. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale, presieduta da Raffaele Malizia, ha accolto la proposta del procuratore aggiunto Sergio Demontis. Stesso provvedimento per un appartamento di via Parrini e alcuni conti corrente intestati alla moglie di Lo Presti, Teresa Marino, pure lei coinvolta in un blitz antimafia con l’accusa di avere fatto da tramite tra il marito detenuto e gli uomini del clan.
I locali al civico 81 di via Benedetto Gravina custodirebbero un mistero su cui lavorano i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo. È stato ancora una volta Chiarello ad aprire uno squarcio sulla vicenda. È nell’officina che nel 2011, infatti, sarebbe stata convocata un’importante riunione per discutere “la rapina, che gli hanno sparato all’indiano… che Alessandro D’Ambrogio voleva le 40 mila euro”. Di più Chiarello non è stato in grado di riferire, ma pare si trattasse di una situazione tanto delicata da scomodare D’Ambrogio che in quel momento storico era l’uomo porte a Porta Nuova e che sarebbe stato poi arrestato.
Chiarello sapeva che D’Alia lavorava nell’officina. Sono state le successive indagini a svelare che, in realtà, avrebbe fatto da prestanome a Lo Presti. Secondo l’accusa, D’Alia dichiarava redditi ai limiti della sopravvivenza e dunque non avrebbe potuto comprare l’immobile di via Benedetto Gravina e avviare l’attività. Un indizio che basta per fare scattare la misura patrimoniale, tralasciando ogni considerazione sulle modalità di accesso al mutuo per l’acquisto del magazzino. L’operazione bancaria, probabilmente sospetta e non segnalata dall’istituto di credito, merita un approfondimento.
Così come bisogna ancora lavorare su un’altra vicenda che coinvolgeva D’Alia, interlocutore privilegiato di Teresa Marino alla quale riferiva di essere andato in banca: “Ho fatto tutte cose senza di lei”. Si riferiva, secondo l’accusa, alla casa di via Parrini. Una donna si sarebbe messa a disposizione per l’intestazione fittizia dell’immobile.