PALERMO – Ad un condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso, seppure incensurato, non possono essere concesse le attenuanti generiche. Lo ha deciso la Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura di Palermo.
Le generiche, che mitigano la pena, erano state riconosciute a Francesco Paolo Scianni, cantoniere della Provincia di Palermo condannato a cinque anni e mezzo. Secondo la ricostruzione del pubblico ministero Sergio Demontis, l’imputato giudicato dal Tribunale di termini Imerese, avrebbe fatto da mediatore in una richiesta estorsiva ai danni del titolare di un autosalone di Bolognetta. Le generiche gli erano state concesse sia per il suo “stato di incensuratezza” che per “la condotta processuale” visto che Scianni si era sottoposto all’interrogatorio.
Su quest’ultimo punto il pm ha sottolineato nel ricorso accolto dai supremi giudici “l’ambivalenza delle dichiarazioni rese, chiaro indice della volontà di sviare l’attenzione della sua condotta e di minimizzare dei comportamenti che tradivano la piena consapevolezza di accompagnarsi a soggetti mafiosi e di agevolarne l’attività estorsiva”. Quanto al suo essere incensurato, non si può non tenere conto della “particolare gravità” del reato di matrice mafiosa.
Scianni finì in carcere nel gennaio del 2015 nella prosecuzione del blitz che nel settembre precedente azzerò i vertici della mafia di una fetta della provincia palermitana: da Palazzo Adriano a Corleone, da Misilmeri a Belmonte Mezzagno. Tra gli arrestati c’era pure Antonino Di Marco, custode del campo sportivo comunale e considerato il reggente della famiglia di Palazzo Adriano. Ed è proprio nel corso di una conversazione fra Di Marco e Scianni, originario di Corleone, che i due mettevano in discussione la leadership di Matteo Messina Denaro: “Me lo spiegava quello, dice, questo Messina Denaro non può essere mai il capo”.