PALERMO – Nonostante la confisca subita, l’imprenditore Giuseppe Ferdico avrebbe continuato a gestire una parte dei beni grazie alla complicità di alcuni prestanome e, soprattutto, dell’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale.
Ferdico finisce in cella assieme ad altre quattro persone in un blitz del Gico e del Gruppo tutela spesa pubblica della polizia tributaria. Arresti domiciliari per il commercialista Luigi Miserendino, scelto dalla sezione Misure di prevenzione per gestire il patrimonio del re dei detersivi. Sono ritenuti responsabili a vario titolo di intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale e reale (nel caso di Miserendino) ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.
In manette anche Francesco Montes, considerato il gestore di fatto della società a cui l’amministratore giudiziario aveva affittato il centro commerciale, Pietro Felice e Antonino Scrima, uomini di fiducia di Ferdico.
La legge obbliga l’amministratore giudiziario a recidere ogni legame con la gestione passata. Ed invece Miserendino – “ma che devo fare?”, avrebbe detto per giustificarsi senza sapere di essere intercettato – non si sarebbe mai liberato dell’ingombrante presenza di Ferdico che attraverso alcune “teste di legno” avrebbe affittato il ramo d’azienda del centro commerciale Portobello di Carini. Continuava a decidere ogni cosa, sfuggendo al controllo del Tribunale. Un’altra falla del sistema già travolto dallo scandalo che ha coinvolto anche l’ex presidente Silvana Saguto.
Dell’imprenditore era stata l’intuizione di distribuire in larga scala detersivi e prodotti per la casa. Nei mesi scorsi è scattata la confisca per un patrimonio stimato in 400 milioni di euro che comprende, oltre a terreni, ville e appartamenti, anche le srl Ferdico, Gv, Feda, G&O supermercati, 3Effe e Sole distribuzione. Ferdico è stato assolto dall’accusa di essere un mafioso, ma gli sono stati confiscati i beni perché le sue aziende sarebbero state “spinte” dal denaro dei clan. Una montagna di soldi che gli avrebbe consentito di diventare leader del mercato, acquistando a prezzi vantaggiosi, vista la mole degli ordinativi, e rivendendo a prezzi imbattibili.
“Il fatto non sussiste”, scrisse il giudice per l’udienza preliminare Riccardo Ricciardi, che nel 2014 lo aveva scagionato dall’accusa di avere dato una mano alla mafia. Per il re dei detersivi il pubblico ministero aveva chiesto otto anni di carcere, dopo che per tre volte la stessa Procura aveva chiesto l’archiviazione, sostenendo non ci fossero gli elementi per mandarlo a giudizio. “L’accertata esistenza di rapporti di collusione e di complicità con soggetti inseriti o gravitanti nell’organizzazione mafiosa non appare sufficiente per ritenere provato il suo organico inserimento all’interno dell’organizzazione stessa”, ecco perché era stata chiesta l’archiviazione. L’attività di Ferdico è stata scandagliata da cima a fondo. La sua vertiginosa scalata imprenditoriale ha destato sospetti. L’intero impianto contabile dal 2000 al 2010 è stato descritto come “fortemente viziato da irregolarità, anomalie, falsità che fanno molto ragionevolmente credere nell’esistenza di una contabilità parallela”. Se tutto questo non è bastato a mandarlo sotto processo, è stato sufficiente per arrivare alla confisca di primo grado.
Eppure sembrava che Ferdico e Miserendino fossero ai ferri corti. Il prim accusava il secondo di avere provocato la chiusura di alcuni punti vendita, tra cui un centro commerciale a Carini e uno a Tommaso Natale. Gli rimproverano di non avergli dato la possibilità di restare in azienda per curare gli affari. Miserendino, dal canto suo, rispondeva che “la famiglia Ferdico stava ostacolando” la delicata fase di transizione. Ben diversa la realtà descritta dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia e dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Palermo che contestano i rati di intestazione fittizia di beni, ma anche delle estorsioni subite da alcuni operatori commerciali.