Il corpo delle donne violato come il compimento di un orrore antico e riproposto. L’effrazione dell’intimità a opera di un machismo che si vanta nei bar, perché alcuni bar dell’anima sono l’ultimo nascondiglio di una paura vestita di ferocia.
Dietro ogni stupratore c’è il tentativo di incatenare la bellezza nel sottoscala della bestialità. E quando parliamo della bellezza delle donne, non pensiamo a immaginette sacre, agli angeli del focolare di una tradizione per uomini-Polifemo, incapaci di guardare con l’altro occhio. Ma alla pienezza di un’esperienza umana che alle donne appartiene, in proporzione, forse più che agli uomini.
Chi abitava e abita in case ariose, illuminate, in cui le donne si sono sempre mosse, silenziose e sovrane, con l’impalpabilità di ciò che resta e si tramanda alla fine del tempo, sa qual è il punto. E può straziarsi e domandarsi, con una pena che scandaglia pagine perverse, perché accada che certi maschi arrivino all’abiezione massima, essendo nati da una madre.
L’ultima notizia di una violenza compiuta, secondo la cronaca fin qui disponibile, arriva da una notte in Italia, a Catania. Chi ha letto, ha saputo tutto quello che è stato scritto: le accuse a carico di tre presunti carnefici – civiltà significa anche rispettare i tempi cadenzati dalla giustizia -, la difesa, la registrazione del pianto inemendabile di una ragazza, le reazioni necessariamente indignate, il richiamo alla castrazione, con annessa polemica politica. Tutto si legge in superficie, perché tutto viene esposto. Eppure, la terribile profondità che lambisce questo evento come altri è una materia proprio da donne. Serve, per affrontarla, la speranza di un cielo lontano, nella sua prossimità.
Graziella Priulla, sociologa all’Università di Catania, apre il sipario di una ricognizione nel buio: “La violenza sulle donne ha diversi fattori alla base. C’è, per esempio, una rivalsa intorno a qualcosa che certi maschi sentono sfuggire di mano: la convinzione errata di un privilegio dovuto, di una condizione di superiorità. Oltretutto, io farei riferimento a una barbarie collettiva nei rapporti umani che riguarda la nostra epoca. Va scomparendo il legame rispettoso con l’altra persona. Ed è facile rivolgersi alla pancia e all’ignoranza. Infatti, la cosiddetta castrazione chimica rappresenta una suggestione ridicola. C’è un problema fondamentale di educazione, di convivenza. Ci sono ferite da sanare. Nelle stagioni del rancore le donne sono le prime vittime”.
Ida Nicotra, costituzionalista, docente universitaria a Catania, spiega: “In tema di diritti, registro una regressione, una involuzione chiarissima. Penso al mondo del lavoro, alle politiche di sostegno che non ci sono. Una donna è una persona completa se non deve rinunciare a niente, se può occupare il suo posto, avere dei figli, un marito e una famiglia. Invece, tante si arrendono perché le difficoltà appaiono insormontabili. E poi, lo affermo da giurista, col massimo rispetto, ma delle sentenze è lecito discutere, sono rimasta colpita da alcuni pronunciamenti della magistratura per come sono stati raccontati da giornali. Che messaggio culturale stiamo dando? Anche la politica ha una responsabilità enorme. La castrazione? Credo, invece, che, per debellare la barbarie, sarebbe importante la certezza della giusta pena”.
Giusi Lo Bianco, catanese, che scrive e insegna, chiosa: “Quella notizia mi ha profondamente turbata. Mi turba la brutalità di questa nostra società, la mancanza di empatia. Sono un’insegnante. Sia la vittima sia i carnefici potrebbero essere i miei alunni, i miei nipoti. È la mia città, sono i luoghi che frequentiamo tutti noi… Credo nella prevenzione, nell’educazione e nella rieducazione del sistema giudiziario. Non credo che la riduzione del livello di testosterone sia sufficiente a inibire il comportamento patologico deviante. Ma sono per pene detentive più lunghe, severe e senza sconto”.
Da Catania a Palermo, in spazi al confine, ancora una volta come la scuola. La preside Daniela Crimi: “Non c’è mai stata una vera conquista della parità. Mi batto, ci battiamo. Dico continuamente alle mie alunne che dobbiamo difendere la nostra dignità, pure contro la prevaricazione subdola del pregiudizio. Se sei una donna e ti trovi a ricoprire un ruolo importante, tanti pensano che non ci sia un merito. Abbiamo uno sportello di ascolto in cui raccogliamo le storie di ragazzine con padri soffocanti e fidanzatini gelosi che pretendono il controllo assoluto. Sono contraria alla castrazione, perché sono contro ogni forma di violenza”.
Marina Cassarà, avvocato, che difende tante vittime nelle aule dei tribunali: “Si continua a parlare di violenze quando il fatto ormai è accaduto, purtroppo. Dobbiamo tendere a una vera parità, senza distinzione di ruoli, cominciando da scuola e famiglia. Solo così combatteremo la subcultura del possesso e una malintesa idea della protezione. Non abbiamo bisogno che nessuno ci protegga. E non credo che, nelle storie di violenze, c’entrino soltanto gli ormoni: abbiamo la capacità di scegliere. Ecco perché non mi convince il dibattito sulla castrazione chimica”.
Cetta Brancato, poetessa e scrittrice: “La violenza complessiva contro le donne non è mai stata interrotta. E’ sottaciuta, non vista, sfuggente. Infine, esplode. Si verifica quando il maschio declina una relazione come forma aggressiva di potere a tanti livelli, fino alle manifestazioni più estreme. Ricordo quando, per un mio libro, ho intervistato una ragazza nigeriana che era obbligata a prostituirsi sul marciapiede. Mi raccontò dei figli morti, dei suoi viaggi, delle sue lacrime. Una quantità e una qualità del dolore inimmaginabili. Io non sarei sopravvissuta”.
Perché le donne che sopravvivono, talvolta, sono state soltanto fortunate.