PALERMO – La condanna, seppure solo di primo grado, stabilisce che Antonello Montante ha creato una rete di spionaggio. All’uomo dalla ‘doppia faccia’ (“Double face” era stata denominata l’inchiesta) vengono inflitti 14 anni di carcere. Ben oltre i dieci e mezzo chiesti dall’accusa. Si mostrava paladino della legalità, ma nel suo intimo, secondo l’accusa, era uno spregiudicato uomo di potere. Alla lettura del verdetto Montante non era presente in aula.
In tanti, nonostante indossassero la divisa da ufficiale, si sarebbero prestati al gioco sporco dell’ex presidente di Sicindustria. Raccoglievano informazioni e in cambio ricevevano favori.
Sono stati condannati dal giudice per l’udienza preliminare di Caltanissetta Graziella Luparello al termine di una veloce camera di consiglio durata due ore.
Per le pedine del “sistema Montante” (l’ex responsabile per la legalità di Confindustria si trova ai domiciliari perché avrebbe tentato di inquinare le prove disfacendosi di una serie di pen drive lanciandole dal balcone di casa) i pubblici ministeri Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso avevano chiesto pene pesantissime, ma il Gup è stato ancora più rigido nei confronti di Montante, tenendo conto che l’imputato ha ottenuto lo sconto di un terzo della pena riconosciuto a coloro che scelgono il rito abbreviato. In aula, alla lettura del verdetto, c’erano pure il procuratore Amedeo Bertone e l’aggiunto Gabriele Paci.
Ecco tutte le pene: 14 a Montante (sarebbero stati 21 qualora non avesse ottenuto lo sconto per la scelta del rito alternativo), imputato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e rivelazione di notizie riservate; 6 anni e 4 mesi a Diego Di Simone, l’ex ispettore della squadra mobile di Palermo diventato il capo della sicurezza di Confindustria e uomo di fiducia di Montante per conto del quale avrebbe acquisito informazioni riservate finite nei dossier; quattro anni a Marco De Angelis, funzionario della questura di Palermo, considerato il braccio destro di Di Simone; un anno e quattro mesi ad Andrea Grassi (la metà di quelli chiesti dai pm, con la sospensione della pena), ex funzionario del Servizio centrale operativo della polizia, artefice di tante e importanti indagini antimafia; 3 anni a Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta.
L’unico assolto è il dirigente regionale delle Attività produttive Alessandro Ferrara, imputato con l’accusa di avere mentito ai pubblici ministeri per favorire Montante. Prima che venisse chiuso il dibattimento ha ritrattato il falso e dunque per la legge non è più punibile.
Quello chiuso oggi è il primo troncone nato dall’inchiesta. Ci sono altri imputati con il rito ordinario: Renato Schifani, ex presidente del Senato, Arturo Esposito, ex capo dei Servisi segreti, Giuseppe D’Agata, ex capo centro della Dia di Caltanissetta passato ai Sevizi, il tributarista Angelo Cuva, e l’imprenditore Massimo Romano, impegnato nella grande distribuzione.
Tutti si sarebbero rivolti a Montante mettendogli a disposizioni i loro servigi e ottenendo in cambio piccoli e grandi favori: promozioni, trasferimenti e posti di lavoro per i parenti.
La vicenda Montante non è chiusa. Ci sono due indagini ancora aperte. Innanzitutto quella per concorso esterno in associazione mafiosa nella quale al momento in cui fu resa nota l’indagine sulla rete di spionaggio, e per stessa ammissione dei pm, non erano state raccolte prove sufficienti. L’indagine, però, non è stata formalmente chiusa.
L’accusa di essere legato ai boss nisseni spaventava parecchio Montante, tanto da indurlo ad attivare la rete di talpe per attingere notizie e “spiare” i potenziali nemici. Lo scorso febbraio la Procura di Caltanissetta ha chiesto una proroga delle indagini nella tranche per associazione a delinquere, corruzione, abuso d’ufficio e finanziamento illecito ai partiti che vede coinvolti politici e imprenditori. Perché Montante, così sostiene l’accusa, avrebbe condizionato le scelte del governo regionale allora guidato da Rosario Crocetta, piazzando i suoi uomini all’interno della giunta e della macchina burocratica.
Il Gup Luparello ha condannato gli imputati a risarcire i danni alle parti civili: Graziella Lombardo, Attilio Bolzoni Gioacchino Genchi, Salvatore Iacuzzo, Salvatore Petrotto, Antonino Grippaldi, Gaetano Rabbito, Vladimiro Crisafulli, Pasquale Tornatore, Marco Benanti, Monica Marino, Fabio Marino, Gildo Matera, Umberto Cortese, Enzo Basso (cinquemila euro ciascuno), Giampiero Casagni, Nicolò Marino e Pietro Di Vincenzo (15 mila euro ciascuno), Regione siciliana (70 mila euro), Alfonso Cicero (10 mila euro), Ordine dei giornalisti (30 mila euro), Camera di commercio di Caltanissetta (30 mila euro), Polizia di Stato (10 mila euro).