Presi di mira, minacciati, strattonati. Si moltiplicano le aggressioni contro gli operatori della sanità. LiveSicilia.it continua il suo viaggio per conoscere e per sostenere chi lavora e si sacrifica nella trincea dei nostri ospedali.
PALERMO- L’ultima volta la dottoressa Alongi mi ha scritto in un whatsapp: “Non mi abituerò mai alla morte”. Ed è una dolcezza che conforta, l’assenza del cinismo nelle cose ultime. La conosco come tanti, ognuno col suo modo proprio, perché è impossibile non conoscerla: basta incontrarla e non la dimentichi più.
Gaetana Alongi – per gli amici ‘Tanina’ –, medico del 118 a Palermo, è il cuore generoso che arriva su un’ambulanza per non arrendersi. Salvare, quando si può. Consolare, quando si deve. Lei si schermisce: “Tutti i miei colleghi e ci metto gli infermieri, i soccorritori, gli autisti sono come me”. E ha ragione, perché i ragazzi delle ambulanze sono in gamba; personale scelto, temprato da un lavoro difficile, capaci, al tempo stesso, di essere competenti e di restare umani.
Parla, la dottoressa, nel salone della sua bella casa, punteggiando ogni frase di entusiasmo: “Sai, tra qualche giorno, una bambina che ho fatto nascere io compie un anno”. E racconta, dai…
“Sentiamo la chiamata e partiamo. C’era questa signora che doveva partorire e aveva già dei dolori. La mettiamo sulla lettiga, pronti per il trasporto. Durante il viaggio, la bambina – e scappa un sorriso – mi fa ciao ciao. L’ho tirata fuori. ‘E’ nata’ ha gridato l’autista che aveva sentito il vagito. Ed è stato bellissimo sentire alla radio gli auguri di tutti: ‘E’ nata, è nata. Viva a’ picciridda!‘. L’hanno chiamata Concetta e mai nome fu più azzeccato”. Condividi perfino i respiri, quando sei alla velocità massima dei battiti e delle ruote.
Sì, sono bravi i ragazzi del 118. La dottoressa Alongi è sommersa dagli encomi. Scrivono per ringraziare. Scrivono per benedire. Scrivono per complimentarsi. Scrivono per manifestare stupore, se scoprono che ci sono operatori che danno il sangue per il risultato. Nella zattera alla deriva della sanità pubblica, gli eroismi individuali segnano la differenza, ma non dovrebbe essere così.
“Noi, nel senso dell’equipaggio, serviamo un territorio ampio: Mondello, lo Zen... Non ho mai avuto problemi. E’ una questione di approccio. Pure nelle zone teoricamente più calde ho sempre ricevuto e dato cortesia. Ricordo allo Zen, una casa, con una marea di persone che aspettavano: ‘Lasciate lavorare la dottoressa’. Alla fine, prima di andare via, abbiamo dovuto accettare l’offerta di un gelato. Un malato e i suoi parenti sono persone, appunto. Devi trattarli da persone”.
E poi c’è la pagina triste. Sei costretto, tuo malgrado, alla resa e non hai che da comunicarlo: “Ho visto di tutto. Mi sono trovata accanto a tutti. A una mamma che aveva appena perso il figlio, ho detto: ‘Signora, sono mamma anche io. Anche io farei come lei’. E l’ho abbracciata stretta. Un signore anziano che aveva avuto la notizia della morte del genero mi ha dato un bacio”. Essere lì, per strada, significa raccogliere le lacrime degli uomini. Cioè, esserci per non lasciare solo chi non vuole restare solo.
In un’altra occasione Tanina è arrivata quando non c’era più niente da tentare: “Ero a casa di un anziano dottore che stava per chiudere gli occhi. Il figlio, pure lui medico, le voleva provare tutte. Ed è normale. E’ giusto”.
A un certo punto, il medico-figlio e il medico del 118 si sono appartati in cucina. “Lui piangeva. Gli ho sussurrato: ‘Ascoltami, tuo padre sta morendo. Siediti ai bordi del letto e prendi la sua mano. La morte può essere pietosa, quando ha il tocco di una mano che accarezza la tua. Così è stato’”. E così sia.