L'omicidio di un poliziotto |Le indagini per inchiodare i killer

L’omicidio di un poliziotto |Le indagini per inchiodare i killer

Intervista al dirigente della Squadra Mobile di Catania, Antonio Salvago.

Lizzio, 26 anni dopo
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CATANIA Una sera maledetta. Una ferita ancora aperta per tutta la Polizia di Stato. In particolare per la Squadra Mobile di Catania. L’ispettore Giovanni Lizzio è stato assassinato la sera del 27 luglio 1992. L’orologio segnava le 21. L’agguato è avvenuto in via Leucatia, all’altezza del civico 123. Il dirigente della Squadra Mobile Antonio Salvago ripercorre le indagini iniziali: “Gli equipaggi arrivati sul luogo dell’omicidio, rinvenivano il cadavere dell’Ispettore Lizzio seduto al posto di guida della sua Alfa Romeo 75; nel sedile accanto, la pistola d’ordinanza ed il borsello. Trasportato all’ospedale “Cannizzaro”, i medici ne constatavano l’avvenuto decesso. L’esame autoptico permetteva di constatare che la vittima era stata attinta all’interno dell’auto da sei colpi d’arma da fuoco che ne avevano cagionato la morte”.

La polizia e la magistratura catanese, sin dall’inizio, hanno cercato di inchiodare i vili assassini dell’Ispettore Lizzio. “Il delitto ha formato oggetto di una complessa vicenda giudiziaria (il cosidetto processo “Orsa maggiore”, che ha preso in esame molti anni di storia criminale etnea ed ha riguardato numerosissimi omicidi) – spiega ancora Salvago a LiveSiciliaCatania – al termine del quale Santapaola Benedetto, boss indiscusso dell’omonima famiglia mafiosa, è stato condannato alla pena dell’ergastolo, con sentenza divenuta definitiva in data 14 novembre 2003, quale mandante dell’efferato fatto di sangue”. Assolti invece due boss di alto rango criminale. “Sempre in esito a quella vicenda giudiziaria, sono stati definitivamente prosciolti dalla stessa accusa Ercolano Aldo e Campanella Calogero, componenti di rango apicale, rispettivamente vice-rappresentante il primo e capodecina il secondo, della medesima consorteria”, spiega ancora Salvago. Il verdetto di colpevolezza nei confronti del padrino catanese ha messo un punto sull’omicidio dell’ispettore. “La sentenza, passata in giudicato, ha sancito che l’Ispettore Lizzio – dice Antonio Salvago – venne assassinato a causa dell’impegno profuso nella lotta contro le cosche mafiose catanesi che lo aveva reso inviso ai membri dei clan Santapaola e Pulvirenti. Pulvirenti, in particolare, aveva espresso da tempo la volontà di eliminare il poliziotto ma non aveva ottenuto il benestare di Benedetto Santapaola, notoriamente contrario ad azioni eclatanti contro appartenenti alle Forze dell’Ordine”. Ma poi qualcosa è cambiato. “L’omicidio venne deciso – spiega ancora il dirigente della Squadra Mobile – successivamente, proprio da Santapaola Benedetto per assecondare i capi della Cosa nostra palermitana. La strategia della tensione della Cosa nostra palermitana, che aveva raggiunto il suo acme nelle tristemente note stragi di Capaci (23 maggio 1992) e via D’Amelio (19 luglio 1992), determinò Santapaola – aggiunge Salvago – ad ordinare l’omicidio eccellente”.

Nel 2007 c’è stata un’importante svolta investigativa. “Il 13 luglio 2007, su delega della Dda di Catania, la Squadra Mobile ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare – racconta Salvago – di noti esponenti dell’organizzazione mafiosa Santapaola facenti parte del cosiddetto “gruppo di fuoco”. Un importante contributo è stato dato da alcuni collaboratori di giustizia. “Le dichiarazioni – aggiunge ancora il dirigente della Mobile etnea –  rese da Umberto Di Fazio e Natale Di Raimondo, l’uno esecutore materiale del delitto insieme a Francesco Squillaci, l’altro organizzatore, hanno reso chiaro il movente e le modalità operative del delitto”.

Un movente che ha fatto piombare Catania in pieno clima stragista palermitano. “Per quanto attiene al movente – spiega ancora Salvago – significativamente avvenuto pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio a Palermo, era costituito dalla volontà di contribuire, da parte del gruppo di Catania, alla strategia di aperta contrapposizione allo Stato e di destabilizzazione dell’ordine pubblico, intrapresa agli inizi degli anni ’90 dai Corleonesi, al contempo eliminando un appartenente alle Forze dell’Ordine, all’epoca responsabile della sezione antiracket della Squadra Mobile della Questura etnea”.

Antonio Salvago, infine, evidenzia l’importanza del ricordo nella cultura della legalità e della lotta al crimine. “L’esercizio della memoria è un dovere e rappresenta uno dei momenti fondamentali per la crescita di un paese civile perché il sacrificio delle vittime di mafia non cada nell’oblio. Il ricordo delle vittime di mafia deve rappresentare un lascito da trasmettere alle nuove generazioni, un lavoro quotidiano in cui ciascuno di noi, con la propria opera ed il proprio esempio, – conclude il dirigente della Squadra Mobile – deve contribuire a diffondere la cultura della legalità”. La Questura di Catania ha ricordato, come ogni anno, l’ispettore Lizzio e il poliziotto Beppe Montana con una messa in suffragio alla Chiesa dei Minoriti.

 

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